Recensioni sull'artista Alexandra Mitakidis

    La fotografia costituisce gli ambiti di una ricerca che Alexandra Mitakidis conduce da tempo sulla combinazione metamorfica della luce sulla realtà. Il paesaggio è il punto di partenza di un processo che la porta a cogliere nell'istantanea il dato di sintesi tra le forme del mondo circostante e il grado di luminosità dell'ambiente. Fare fotografia significa per lei registrare l'emozione e lo stato d'animo, provato nel preciso istante in cui la macchina si è fatta strumento di focalizzazione di una particolare porzione di natura. L'autrice triestina interviene poi ricorrendo a un complesso cromatico, che sospende l'immagine – pur così realistica nella sua origine – in un'atmosfera surreale con lo scardinamento logico della prospettiva, con l'alterazione dei colori e la loro dislocazione in aree avulse dalla credibilità fisica. Qualche volta il dettaglio “fluttua” dentro un contesto dove l'illusione della trasparenza, della rifrazione, della specularità giocano di volta in volta un ruolo decisivo nell'assegnare alla foto una magia iconica densa di suggestioni. Ciò è pienamente verificabile in questa mostra, dove lo sguardo di Alexandra Mitakidis percorre gli ambiti cittadini (Trieste soprattutto) fissando un attimo in cui l'incontro tra realtà fisica e il desiderio di trasformarla in evento di luminosità, tanto varia quanto sono diversi i momenti dello scatto e la porzione di paesaggio ritratta.

    Enzo Santese, dalla presentazione critica della mostra Luci di Trieste e dintorni, spazio rassegne della “Città di Londra”, Trieste, settembre 2016



    Il lavoro (di Alexandra Mitakidis) rivela senza dubbio il forte desiderio di trasfigurare la realtà, dando corpo a una visione personale e onirica di ciò che ti circonda. In un certo senso, esso è anche una riflessione sulla fotografia in sé perché, avvicinando la fotografia alla pittura e alla grafica, rivela che la funzione di documentazione, convenzionalmente attribuita al medium fotografico, è solo un'illusione. La fotografia è, infatti, una visione parziale e ben poco oggettiva del reale, e la manipolazione della realtà in fotografia ha una tradizione che parte da lontano (Man Ray, tanto per citare il primo fotografo surrealista).

    Le immagini ci restituiscono una rappresentazione originale, creativa e anche elegante del visibile. Esse sono, a mio parere, i migliori momenti di questa submission e compongono una "miniserie" coerente all'interno della stessa. Quello che risalta, in queste immagini, è la moltiplicazione dei piani di realtà, che rende le scene complesse, interessanti ed evocative. In particolare, i paesaggi che si intravedono sullo sfondo, danno una grande ricchezza e profondità all'immagine…

    Lens Colture, network di fotografia e rivista on line sulla fotografia contemporanea nell'arte, Amsterdam (Olanda)



    La città e la periferia costituiscono un unico ambito concettuale in cui l'obbiettivo coglie combinazioni di forme architettoniche, realtà vegetali e umane, oggetti come testimonianze di una storia che scorre lungo itinerari percorsi da Alexandra Mitakidis nella sua ricerca. Il lavoro creativo è stratificato infatti dai tempi della progettazione che prevede un contatto diretto con la fisicità dei luoghi, all'interno dei quali l'autrice attende l'occasione propizia per fissare con la sua macchina il soggetto pensato e trovato nelle condizioni di luce volute. In tal modo gli scatti inanellano una serie nutrita di scorci entro i quali di volta in volta, si affermano i concetti di storia passata collegata con la cronaca presente, legati insieme da un tema unificante. Nella recente fase del suo lavoro, Alexandra Mitakidis considera la valenza simbolica della finestra, intesa come punto di passaggio tra un interno e un esterno, riquadro di collegamento tra due aree (anche concettuali) contigue, apertura per la comunicazione diretta fra individui e gruppi sociali, in contrasto con una visione della contemporaneità impegnata ad innalzare barriere di distinzione e pretesti di conflitto. I colori dl mondo ritratto vengono poi fatti virare al computer verso esiti capaci di smaterializzare la realtà e farla lievitare verso la rarefazione del pensiero, pur mantenendo una traccia riconoscibile dalla fisionomia originaria.

    Enzo Santese, in Percorsi d'arte in Italia, Rubettino editore, 2017



    Il titolo Into the landscape /Dentro il paesaggio allude a una delle tensioni centrali della ricerca fotografica di Alexandra Mitakidis: la sua possibilità di cogliere nella realtà urbana (in ispecie quella di Trieste, la sua città) i suggerimenti e le sollecitazioni da eleggere poi a scintille generatrici dell'immagine. In effetti Alexandra Mitakidis – sempre “armata” della sua macchina Nikon – è sempre pronta a catturare situazioni iconiche che poi trasforma al computer in ambiti fantastici dove i colori, completamente arbitrari ma del tutto corrispondenti allo stato d'animo al momento del click, fanno lievitare la fisicità dell'esistente verso l'impalpabilità

    dell'immaginario.

    Enzo Santese, dall'intervento critico alla mostra Into the landscape/Dentro il paesaggio presso la Galleria De Martin Codroipo (Udine), aprile 2017



    La ricerca di Alexandra Mitakidis si realizza nella combinazione di tempo e luogo; infatti nella ricognizione costante della realtà cittadina – ripassando anche più volte nei punti già percorsi, perché a ogni tornata un pur minimo dettaglio di novità può prospettarsi all'occhio e quindi essere fissato dalla Nikon – l'autrice coniuga intenzionalità strategica nella scelta del tempo e occasionalità nella determinazione del luogo di lavoro, oppure viceversa. Quindi le ore della giornata, l'alternarsi delle stagioni, la sequenza delle condizioni atmosferiche incidono “impressionisticamente” sul lavoro di selezione degli scorci e/o dei soggetti, offrendo ad Alexandra Mitakidis l'opportunità di intervenire sui risultati della fotografia per un'ulteriore passaggio, teso a spostare i luoghi fisici verso un “altrove” ideale. In tal modo li priva della loro fisicità, per collocarli in una dimensione rarefatta dello spirito: vie, piazze, viali, dettagli architettonici, squarci urbanistici (pur in parte riconoscibili) diventano non-luoghi, aree di sensibilità dove in una sintesi iconica volutamente arbitraria possono convergere memoria e affetti, fantasia e sogno, senso di libertà e leggerezza del pensiero di chi “legge” queste opere.

    Enzo Santese, dalla presentazione critica alla mostra I non luoghi della realtà presso il “Mug”,Trieste, maggio 2017



    Alle 15.30, al Vis à Vis Grand Hotel Duchi d'Aosta di piazza dello Squero Vecchio 1, si aprirà la mostra di fotografie di Alexandra Mitakidis “Trieste: focus sulla cittò”, a cura del critico Enzo Santese. L'autrice (nella foto), triestina, ha una lunga consuetudine con l'obbiettivo, attraverso cui ama cogliere spunti della realtà che solitamente sfuggono alla vista: è per questo che uno scorcio, architettonico, un oggetto d'uso quotidiano, al suo occhio diventano protagonisti di un'inquadratura dalle forti connotazioni scenografiche. Questo avviene anche con alcuni dettagli (una gomena, una gru, una pozzanghera) su cui la Mitakidis interviene poi al computer, facendo virare l'immagine verso esiti pittorici grazie all'accensione di colori che alleggeriscono i dati reali dal peso della fisicità e li trasformano in tratti evanescenti dell'immaginazione.

    Enzo Santese, in Piazza dello Squero Vecchio – Focus sulla città di Mitakidis, in “Il Piccolo”, Trieste, 31 luglio 2017



    Alexandra Mitakidis is born in Trieste (Italy) in 1964. Her work is a study of the changing combination of the light on the rality. The landscape is the beginning of a process that includes the brightness of the surrounding. Taking pictures is a process that involves the emotions and moods she feels in that moment. In a second moment she works on the image transforming the picture, even if realistic, in a modification of colors that gives the illusion of reality and stransparency with magic suggestions. One of the main goals is catching the urban reality suggestions that can inspire new perspectives. These are processed with a computer to obtain new colours that agree to the mood of the shot.

    Luca Curci, Anima mundi, mostra collettiva presso Ca' Zanardi, Venezia, Dicembre 2017



    Martedì, 30 gennaio, alle ore 17, gli spazi espositivi del Caffè Letterario “Lettera Viva” di Trieste (viale XX settembre 31/B – Trieste) ospitano la mostra “Vibrazioni prospettiche” costituita da 34 foto di Alexandra Mitakidis, artista triestina che da tempo affida alla macchina fotografica la sua vena creativa. La rassegna è curata criticamente da Enzo Santese. La maggior parte delle immagini è dedicata a Trieste e a Venezia e ritrae situazioni architettoniche, dettagli di natura, scene urbane che poi elabora al computer, alleggerendo completamente il senso della fisicità e proiettandola in una dimensione dove la porzione di realtà diventa spesso evanescenza del sogno. Sulla scorta di una lunga consuetudine con l’obiettivo, Mitakidis ama cogliere spunti dell’esistente che sfuggono spesso all’attenzione: è per questo che uno scorcio della città, un oggetto d’uso quotidiano, un’imbarcazione, una porzione di paesaggio punteggiata occasionalmente da elementi estranei, al suo occhio, diventano protagonisti di un’inquadratura dalle forti connotazioni scenografiche. Nell’occasione della mostra (che si chiuderà il 25 febbraio) viene presentato in anteprima il libro della stessa autrice, intitolato “Luci e ombre della città – foto”, uscito da pochi giorni nelle Edizioni Battello.

    Enzo Santese, dalla presentazione critica della mostra Luci e ombre della città, Caffè Letterario, Trieste, Gennaio 2018



    Alexandra Mitakidis sin dall’adolescenza ha assorbito dal padre la passione per la fotografia, che poi ha coltivato e approfondito con crescente impegno e costante slancio sperimentale. Ha sempre cercato di ampliare la conoscenza del mezzo e di aggiornarsi sulle sue potenzialità di resa, creando un linguaggio fotografico atto a scoprire nuove possibilità di visione e interpretarle secondo la propria dotazione tecnico-poetica. Pertanto, sulla scorta di una lunga consuetudine con l’obiettivo, ama cogliere spunti della realtà che solitamente sfuggono all’attenzione: è per questo che uno scorcio architettonico, un oggetto d’uso quotidiano, un’imbarcazione, una porzione di paesaggio punteggiata occasionalmente da elementi estranei, al suo occhio, diventano protagonisti di un’inquadratura dalle forti connotazioni scenografiche. Il lavoro è stratificato infatti dai tempi della progettazione che prevede un contatto diretto con la realtà dei luoghi, all’interno dei quali l’autrice attende l’occasione propizia per fissare con la sua macchina il soggetto pensato e trovato nelle condizioni di luce volute. In tal modo gli scatti inanellano una serie nutrita di scorci entro i quali, di volta in volta, si affermano i concetti di storia passata collegata con la cronaca presente, legati insieme da un tema unificante. Questo avviene anche con alcuni dettagli (una gomena, una gru, una pozzanghera, una vetrina, una decorazione architettonica), ripresi in risultati di deciso contrasto chiaroscurale. La ricerca si realizza nella combinazione di tempo e luogo; infatti nella ricognizione costante della realtà – ripassando anche più volte nei punti già percorsi, perché a ogni tornata un pur minimo elemento di novità può prospettarsi all’occhio e quindi essere fissato dalla Nikon D 800 – l’autrice coniuga intenzionalità strategica nella scelta del tempo e occasionalità nella determinazione del luogo di lavoro, oppure viceversa. Quindi le ore della giornata, l’alternarsi delle stagioni, la sequenza delle condizioni atmosferiche incidono “impressionisticamente” sul lavoro di selezione degli scorci e dei soggetti, offrendo all’artista l’opportunità di intervenire sull’immagine per un ulteriore passaggio, teso a spostare i luoghi fisici verso un “altrove” ideale. In tal modo li priva della loro fisicità, per collocarli in una dimensione rarefatta dello spirito: vie, piazze, viali, dettagli architettonici, squarci urbanistici (pur in parte riconoscibili) diventano non-luoghi, aree di sensibilità dove in una sintesi iconica volutamente arbitraria possono convergere memoria e affetti, fantasia e sogno, senso di libertà e leggerezza del pensiero.

    Molte sue immagini “parlano” di una città che non c’è più, oppure di una realtà che solitamente sfugge allo sguardo dei passanti meno attenti a cogliere l’anima del luogo dalle evidenze apparentemente più banali e semplici.

    La poetica dello sguardo cangiante

    La fotografa è legata affettivamente al mare, alle sue atmosfere, ai suoi riflessi sulle città (soprattutto Trieste e Venezia) che da vari anni sono per lei il bacino a cui attingere spunti creativi e suggerimenti poetici. La città e la periferia costituiscono un unico ambito concettuale in cui l’obiettivo coglie combinazioni di forme architettoniche, realtà vegetali e umane, oggetti come testimonianze di una storia che scorre lungo gli itinerari percorsi dalla stessa autrice nella ricerca. Nella recente fase del suo lavoro, considera la valenza simbolica della finestra, intesa come punto di passaggio tra un interno e un esterno, riquadro di collegamento tra due aree (anche concettuali) contigue, apertura per la comunicazione diretta fra individui e gruppi sociali, in contrasto con una visione della contemporaneità impegnata ad innalzare barriere di distinzione e pretesti di conflitto. Lo sguardo si posa spesso su fenomeni della specularità, dove i riflessi duplicano le apparenze producendo il gioco dialettico fra la concretezza di un oggetto e l’impalpabilità del suo riverbero. Il movimento di linee e forme geometriche offerte dal paesaggio suggeriscono a volte amplificazioni fantastiche dell’evidenza considerata.

    I colori del mondo ritratto vengono fatti virare al computer verso esiti capaci di smaterializzare la realtà e farla lievitare verso la rarefazione del pensiero, pur mantenendo una traccia riconoscibile della fisionomia originaria; l’immagine così declina verso effetti pittorici grazie all’accensione di colori, che alleggeriscono i dati reali dal peso della fisicità e li trasformano spesso in tratti evanescenti della fantasia e del sogno.

    La fotografia costituisce gli ambiti di una ricerca che Alexandra Mitakidis conduce da tempo sulla combinazione metamorfica della luce sulla realtà. Il paesaggio resta in ogni caso il punto di partenza di un processo che la porta a cogliere nell’istantanea il dato di sintesi tra le forme del mondo circostante e il grado di luminosità dell’ambiente. In tal modo registra l’emozione e lo stato d’animo provato nel preciso istante in cui la macchina si è fatta strumento di focalizzazione di una particolare porzione di natura. L’autrice triestina interviene poi sull’immagine ricorrendo a un complesso cromatico, che sospende le forme – pur così realistiche nella loro origine – in un’atmosfera surreale con lo scardinamento logico della prospettiva, con l’alterazione dei colori e la loro dislocazione in aree avulse dalla credibilità fisica. Qualche volta il dettaglio “fluttua” dentro un contesto dove l’illusione della trasparenza, della rifrazione, della specularità rivestono di volta in volta un ruolo decisivo nell’assegnare alla foto una magia iconica densa di suggestioni.


    Enzo Santese, dalla prefazione del volume ALEXANDRA MITAKIDIS Luci e ombre della realtà, foto, Battello editore, Trieste, Febbraio, 2018



    Svetlobe in sence resničnosti

    “Svetlobe in sence resničnosti!” so prividi med katerimi se sprehaja Alexandra Mitakidis s svojo kamero po trgih, ulicah in obrežjih od Trsta do Benetk. Tam med urbanimi in naravnimi motivi išče zagonetne perspektive ter neobičajne zorne kote, potem pa s pogledom zazrtim skozi digitalne barvne opne sodobne tehnologije spreminja kolorit svojih podob iz realnega življenja v vibrantne barvne in grafične skice.

    Včasih išče široke poglede, drugič drobne detajlie ali nenavadne rakurze od blizu, ki sicer ohranjajo razpoznavnost in objektivnost obrisov, barvno pa se samozavestno odtujujejo od stvarnosti ter nas likovno presenečajo, ko predmeti s spremembo barvne skale dobivajo tudi drugačno pomensko energijo in včasih kar

    glasbeno razpoloženje – ni čudno da na nekaterih fotografijah srečamo tudi podobe glasbenikov, kjer njihov zvok razpoloženjsko “obarva” celo fotografijo. Računalniško nadzorovani barvni zamiki in odtujitve intenzivno sevajo iz realno posnetih podob od razgretih živih tonov do temačno zasenčenih razpoloženj, oboje pa dramatično poudarja odslikano tematiko urbanega miljeja in njegovega zlitja ali pa konflikta z naravo.

    Včasih avtorica pogumno postavlja svoje podobe postrani, namerno nagnjene in irealno zamaknjene, njihovi izrezi so pogosto zelo robni in likovno samovoljni, s tem pa doseže posebno dramatiko kompozicije, labilno ravnotežje in tako še poudari “digitalni stress” sodobnega časa.

    Irealni barvni specter njenih fotografij nas tako prestavi v avtorsko likovno oblikovanje fotografsko zajetih segmentov sveta okoli nas ter odstira samosvoj in izviren način uporabe tega medija, ki ga sicer pogosto srečujemo kot odslikavo lepega, ki je “lepo samo po sebi”, a je brez avtorske identitete fotografa.

    Pri fotografskih podobah Alexandre Mitakidis te nevarnosti ni, saj nas njene slike nagovarjajo prav z intenzivno in izvirno barvno destrukcijo vidnega sveta, ki postane “likovno lep” in avtorsko samosvoj.

    Lado Jakša, fotografo e artista multimediale, in Alexandra Mitakidis, Luci e ombre della realtà, foto, Battello Editore, Trieste, Febbraio 2018


    Luci e ombre della realtà sono visioni dove Alexandra Mitakidis passeggia con la sua fotocamera da Trieste a Venezia tra piazze, vie, città e paesaggi naturali.

    Alexandra Mitakidis è sempre alla ricerca di diverse prospettive tra luci e ombre attraverso i colori digitali, giocando con la tecnologia che accompagna i colori delle sue immagini di vita reale. A volte ricerca ampi elementi, a volte si concentra su piccoli dettagli che in ogni caso conservano la realtà obiettiva dell’oggetto. Così il colore, invece, diventa originale. Ci stupisce con i giochi vibranti di colori, per esempio con gli scogli che ci trasmettono una particolare energia, quasi musicale – non è strano, quindi, che in alcune fotografie osserviamo immagini di musicisti, dove la musica e il colore viaggiano paralleli. L’elaborazione digitale dei colori fa aumentare l’intensità del soggetto con la realtà, spaziando tra i toni più chiari e forti fino a colori cupi e drammatici, in penombra, dove il soggetto stesso ci trasmette il conflitto tra l’urbanizzazione e la natura stessa. Il soggetto è dunque dominante in tutta la sua energia…

    A volte l’autrice inquadra la figura di lato con un’inclinazione particolare, irreale, con i bordi molto ben allineati per ottenere una composizione più drammatica con un equilibrio instabile.

    Questo sta a sottolineare uno “stress digitale” del tempo reale. Lo spettro irreale delle sue fotografie è la definizione di come un’artista digitale sia consapevole di saper manipolare e dominare il mondo che ci circonda, dove il bello esiste ed è bello di per sé.

    Alexandra Mitakidis usa la tecnologia nella fotografia in maniera molto intensa, originale e naturalmente bella.

    Lado Jakša, traduzione di Alenka Bajc




    Alexandra Mitakidis, fotografa triestina che sta riscuotendo notevoli consensi anche sul piano internazionale, sin dall'adolescenza ha assorbito dal padre la passione per la fotografia, che poi ha coltivato e approfondito con crescente impegno e costante slancio sperimentale. Ha sempre cercato di ampliare la conoscenza del mezzo e di aggiornarsi sulle sue potenzialità di resa, creando un linguaggio fotografico atto a scoprire nuove possibilità di visione e interpretarle secondo la propria dotazione tecnico-poetica.

    Pertanto, sulla scorta di una lunga consuetudine con l'obbiettivo ama cogliere spunti della realtà che solitamente sfuggono all'attenzione: é per questo che uno scorcio architettonico, un oggetto d'uso quotidiano, un'imbarcazione, una porzione di paesaggio punteggiata occasionalmente da elementi estranei, al suo occhio, diventano protagonisti di un'inquadratura dalle forti connotazioni scenografiche.

    Il lavoro è stratificato infatti dai tempi della progettazione che prevede un contatto diretto con la realtà dei luoghi, all'interno dei quali l'autrice attende l'occasione propizia per fissare con la sua macchina il soggetto pensato e trovato nelle condizioni di luce volute. Questo avviene anche con alcuni dettagli (una gomena, una gru, una pozzanghera, una vetrina, una decorazione architettonica), ripresi in risultati di deciso contrasto chiaroscurale. La ricerca si realizza nella combinazione di tempo e luogo; infatti nella ricognizione constate della realtà – ripassando più volte nei punti già percorsi, perché a ogni tornata un pur minimo elemento di novità può prospettarsi all'occhio e quindi essere fissato dalla sua macchina – l'autrice coniuga intenzionalità strategica nella scelta del tempo e occasionalità nella determinazione del luogo di lavoro, oppure viceversa.

    Quindi le ore della giornata, l'alternarsi delle stagioni, la sequenza delle condizioni atmosferiche incidono “impressionisticamente” sul lavoro di selezione degli scorci e dei soggetti, offrendo all'artista l'opportunità di intervenire sull'immagine per un ulteriore passaggio, teso a spostare i luoghi fisici verso un “altrove” ideale. Il tal modo li priva della loro fisicità, per collocarli in una dimensione rarefatta dello spirito: vie, piazze, viali, dettagli architettonici, squarci urbanistici (pur in parte riconoscibili) diventano non-luoghi, aree di sensibilità dove in una sintesi iconica volutamente arbitraria possono convergere memoria e affetti, fantasia e sogno, senso di libertà e leggerezza del pensiero.

    Molte sue immagini “parlano” di una città che non c'è più, oppure di una realtà che solitamente sfugge allo sguardo dei passanti meno attenti a cogliere l'animo del luogo dalle evidenze apparentemente più banali e semplici. La fotografia è legata affettivamente al mare, alle sue atmosfere, ai suoi riflessi sulle città (soprattutto Trieste e Venezia) che da vari anni sono per lei il bacino a cui attingere spunti creativi e suggerimenti poetici.

    La città e la periferia costituiscono un unico ambito concettuale in cui l'obbiettivo coglie combinazioni di forme architettoniche, realtà vegetali e umane, oggetti come testimonianze di una storia che scorre lungo gli itinerari percorsi dalla stessa autrice nella ricerca. Nella recente fase del suo lavoro, considera la valenza simbolica della finestra, intesa come punto di passaggio tra un interno e un esterno, riquadro di collegamento tra due aree (anche concettuali) contigue, apertura per la comunicazione diretta fra individui e gruppi sociali, in contrasto con una visione della contemporaneità impegnata ad innalzare barriere di distinzione e pretesti di conflitto.

    Lo sguardo si posa spesso su fenomeni della specularità, dove i riflessi duplicano le apparenze producendo il gioco dialettico fra la concretezza di un oggetto e l'impalpabilità del suo riverbero. I colori del mondo ritratto vengono fatti vibrare al computer versi esiti capaci di smaterializzare la realtà e farla lievitare verso la rarefazione del pensiero, pur mantenendo una traccia riconoscibile della fisionomia originaria; l'immagine così declina verso effetti pittorici grazie all'accensione di colori, che alleggeriscono i dati reali dal peso della fisicità e li trasformano spesso in tratti evanescenti della fantasia e del sogno.

    La fotografia costituisce gli albiti di una ricerca che Alexandra Mitakidis conduce da tempo sulla combinazione metamorfica della luce sulla realtà. Il paesaggio resta in ogni caso il punto di partenza di un processo che la porta a cogliere nell'istantanea il dato di sintesi tra le forme del mondo circostante e il grado di luminosità dell'ambiente. In tal modo registra l'emozione e lo stato d'animo provato nel preciso istante in cui la macchina si è fatta strumento di focalizzazione di una particolare porzione di natura.

    L'autrice triestina interviene, poi, sull'immagine ricorrendo a un complesso cromatico, che sospende le forme – pur così realistiche nella loro origine – in un'atmosfera surreale con lo scardinamento logico della prospettiva, con l'alterazione dei colori e la loro dislocazione in aree avulse dalla credibilità fisica. Qualche volta il dettaglio “fluttua” dentro un contesto dove l'illusione della trasparenza, della rifrazione, della specularità rivestono di volta in volta un ruolo decisivo nell'assegnare alla foto una magia iconica densa di suggestioni.

    Enzo Santese, Mitakidis, La fotografia dalla realtà alla parvenza, Il Gazzettino, Venezia, 9 Febbraio 2018



    Per Alexandra Mitakidis fotografare è scrivere con la luce. Guarda il mondo attraverso il suo obbiettivo analizzando principalmente gli stati d'animo. L'artista sembra fotografare per non dimenticare per non perdere ciò che di magico ci regala la vita. Il modo di scattare le fotografia denota un segno intellettuale fortemente pensato, va oltre la pura percezione retinica offrendoci sensazioni ed emozioni invisibili, ma quanto mai reali.

    Assunta Cuozzo, presentazione critica della mostra Correnti …. d'arte VII 2018 – Alexandra Mitakidis, Villa Pannonia, Lido (Venezia), 7 Aprile 2018



    È bello che siano venuti gli amici triestini a sostenerci, a sostenere Massimo (Silvotti), a sostenere questa vicenda. Alexandra è la fotografa che ha allestito questa vicenda qui intorno a noi, alle nostre spalle, una vicenda interlocutoria. Sono fotografie che sono state, come dire, imbellettate graficamente, torturate graficamente, sono state manipolate e così via. Un pò; come quelle manipolazioni genetiche per cui si parte da un topolino e poi viene fuori, che ne so, l'Arcangelo Gabriele; sono tutte “trasformazioni” e lei ha questa trasformazione discreta perché ha una personalità artistica discreta. Ma che però ci dà l'idea, ci offre questi turbamenti espressivi, queste modalità, questa ricorrenza per cui anche oggi la sua fotografia mi pare che sia un alba e un tramonto; sembra quasi che in ogni lavoro ci sia la storia di questo Piccolo Museo della Poesia; dentro c'è la storia della singola poesia che ovviamente ci affascina anche perché ci sono tutte quelle intarsiature di vie e viottoli, di cieli che si intersecano fra di loro, di prospettive verso l'alto che sa il cielo dove andrà a finire; chissà dove? E ci sono queste nervature metalliche della metropolitana, ci sono questi canali, questa Venezia, questa Piacenza, questo nido di nebbia che diventa un'altra cosa adesso come lei la fa fiorire, come si può far fiorire un sasso, come si può far fiorire dalla terra creta, dei mattoni ecc.

    E io ho l'impressione che sia una bella interlocuzione questa che ci accade.

    C'è un verso delle Scritture che dice “sto alla porta”, cioè non mi affaccio più di tanto, con discrezione. Però credo che sia una bella maniera potentemente discreta quella di far finta di chiudere il museo e invece il museo comincia a volare, una decollazione, non come quella di Battista che viene ghigliottinato, ma dell'aereo di pensieri.

    Guido Oldani, dall'introduzione critica alla mostra Geometrie e incastri di luce, Piccolo Museo della Poesia, Piacenza, 18 settembre 2019



    Fa una ricerca da moltissimo tempo che la mobilita sul versante di un'attenzione precisa al paesaggio, ma il paesaggio non le interessa nella sua rilevanza fisica.Quello è il pretesto per una splendida avventura, se me lo consentite, un po’ dentro il territorio dello spirito. Questa è la fisicità di questi paesaggi. Diviene completamente sfumata dentro un'operazione che è quella a posteriori al computer. Direi che dallo scatto fotografico alla elaborazione al computer si snoda quel periodo di gestazione che poi prelude all'evento iconico che vedete qui alle pareti. Qui ci sono le situazioni più diverse. Situazioni geografiche: Francia, Nizza, Venezia, Trieste, c'è Piacenza perché siamo venuti qui qualche tempo fa per la manifestazione “La piuma sul baratro”.

    Enzo Santese, dalla presentazione della mostra Geometrie e incastri di luce, Piccolo Museo della Poesia, Piacenza, 18 settembre 2019



    L'inizio della fine del Piccolo Museo della Poesia ha il volto delle fotografie luminose di Alexandra Mitakidis. Nel pomeriggio di sabato 28 settembre, nella sala espositiva di via Pace, è stata inaugurata una mostra dal titolo “Geometri e incastri di luce” con gli scatti dell'artista triestina e i contenuti teorici del cosiddetto “realismo terminale” di Guido Oldani. L'evento, condotto dal direttore Massimo Silvotti, ha rappresentato l'ultima tappa del Piccolo Museo della Poesia: dal 31 dicembre, infatti, la collezione piacentina di reperti poetici ei libri antichi abbandonerà gli attuali locali nei pressi di piazza Duomo (a causa dei costi d'affitto eccessivi) alla ricerca di nuovi spazi e finanziamenti da parte di qualsiasi ente interessato. Con il Comune di Piacenza la Fondazione di Piacenza e Vigevano e la Banca di Piacenza – va ricordato - è in corso un dialogo concreto per salvare e valorizzare la prestigiosa esposizione poetica, trasferendola probabilmente all'interno dello spazio mostre di palazzo Farnese. Fatto sta, comunque, che l'apertura della mostra “Geometri e incastri di luce” - applaudita da una buona presenza di cittadini – è stata a tutti gli effetti l'iniziativa finale nella sala di via Pace, ovvero la sede odierna del Piccolo museo della Poesia.

    An., Piccolo Museo di Poesia, ultima mostra: gli scatti di Alexandra Mitakidis, nel quotidiano “Libertà” , Piacenza, Settembre 2019



    Sguardo cangiante / Iridiscent look ovvero lo splendore paesaggistico della Serenissima rispecchiato dalle fotografie dell'artista greco-italiana Alexandra Mitakidis, raccolte nella mostra che verrà inaugurata il 18 ottobre presso la Piccola Galleria dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia (Palazzo Correr, Campo Santa Fosca, Cannaregio 221.

    Un evento che rientra nella rosa di esposizioni promosse dall';Istituto per mettere in risalto l'interesse eccezionale dimostrato dagli artisti romeni e di altre nazionalità per lo spettacolo visivo offerto dai capolavori architettonici veneziani, come precisa l'istituzione in un comunicato, ricordando le mostre e le proprie interpretazioni presentate da alcuni artisti romeni nel 2019: Laura Nicolae, Bianca Boroș, George Păunescu e Remus Rotaru. 

    Sembra quindi naturale inserire nel contesto espositivo promosso dal'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia anche opere elaborate da artisti italiani o di altre nazionalità che affrontano anch'essi le suggestioni offerte dallo spettacolo visivo generato dall'abitato della Serenissima e dallo splendore della laguna, spiega ancora l'Istituto.

    Iuliana Anghel, Sguardo cangiante / Iridiscent look, ovvero lo splendore paesaggistico della Serenissima rispecchiato dalle fotografie dell'artista greco-italiana, trasmissione su Radio Romania International, ore 14.15, 16 ottobre 2019



    La mostra “Sguardo cangiante / Iridiscent look” dell’artista Alexandra Mitakidis rientra nell’ambito del ciclo di esposizioni, promosso dall’IRCCU, volto a mettere in risalto l’interesse eccezionale dimostrato dagli artisti romeni e di altre nazionalità per lo spettacolo visivo offerto dal contesto appariscente e multicolore dei capolavori architettonici veneziani, degli apparati decorativi interni ed esterni dei palazzi storici, del paesaggio urbano e lagunare. Tra le mostre presentate da alcuni artisti romeni di giovane e media età nell’anno 2019 spiccano alcune che rivelano capacità inedite di invenzione e di interpretazione in chiave moderna delle “entropie cromatiche” del paesaggio veneziano (Laura Nicolae, 15 febbraio. -1 marzo 2019; Bianca Boroș, 15-30 aprile 2019; George Păunescu, 17-30 settembre 2019; Remus Rotaru, 01-15 ottobre 2019). Sembra quindi naturale inserire nel contesto espositivo promosso dall’IRCCU anche opere elaborate da artisti italiani o di altre nazionalità che affrontano anch’essi le suggestioni offerte dallo spettacolo visivo generato dall’abitato della Serenissima e dallo splendore della laguna.

    Alexandra Mitakidis, di cittadinanza greca e italiana, nata e domiciliata a Trieste, ha una lunga familiarità con la paesaggistica delle città del Mediterraneo e con il sole, la luce e i cangianti effetti coloristici delle onde del Mare Nostrum. Negli ultimi anni ha pubblicato vari album di fotografie ispirate dalla vita e dal paesaggio delle città della costa nord-occidentale dell’Adriatico, soffermandosi in modo particolare su le zone urbane maggiori: quella triestina e quella veneziana. Le due città – Trieste e Venezia - e i loro dintorni sono state recepite dalla Mitakidis, artisticamente parlando, come ambienti unici per la loro capacità di offrire all’occhio che riesce ad identificarsi con l’obiettivo fotografico la possibilità di cogliere combinazioni spettacolari di forme architettoniche, di presenze umane e vegetali, di oggetti, come testimonianze di una storia apparentemente congelata nella sua storicità. Testimonianze che l’obiettivo riesce a farle diventare realtà viva.

    In occasione della mostra sarà presentato un’edizione limitatissima di un libro di fotografie del titolo “Sguardo cangiante” / Iridiscent look” , stampato dall’editore triestino Battello su richiesta dell’IRCCU. Contribuisce al risveglio alla vita del paesaggio il carico di valenze simboliche dei particolari (portali, finestre, silhouettes, ecc) che suggeriscono presenze umane nascoste, comunicanti tra di loro.

    Spettacolare è il trattamento coloristico delle immagini. Valendosi della tecnologia computerizzata, l’artista ha ottenuto effetti pittorici di grande impatto emotivo, ancora poco sperimentate dai professionisti del paesaggio fotografico.

    La mostra fotografica di Alexandra Mitakidis allarga l’orizzonte artistico dell’ambito in cui possono essere valutate le qualità delle opere degli artisti che s’ispirano all’eccezionalità paesaggistica di Venezia. I suoi lavori portano alla conoscenza del pubblico una tecnica di filtraggio della luce che produce effetti inediti e potenzia le suggestioni simboliche del paesaggio

    Grigore Arbore Popescu, dalla presentazione critica della mostra Sguardo cangiante / Iridescent look, Istituto Romeno di Cultura, Venezia, 18 ottobre 2019




    «I buoni fotografi sono rari e indefinibili, ma essi hanno sempre un tratto in comune, quello di andare al di là di sè stessi, d’essere più di ciò che potevano essere, di avere questa piccola “musica”... in breve diessere un po’ miracolosi.» (Jeanloup Sieff)

    L’artista Alexandra Mitakidis fonda la sua pregevole arte su di tre fondamentali elementi:lo stile a rilievo, il colore ed la quarta dimensione del tempo.

    Il rilievo. Alexandra adotta uno stile elevatamente tecnico a “rilievo” professionale, scelta cercata in un lungo corso di studi e sperimentazioni, che va a rappresentare la “firma d’autore” di Alexandra e fornisce alle sue opere una forte e caratteristica timbrica. Riesce, così, a donare alla sue fotografie una tridimensionalità, che le rende allo stesso tempo vive ed in movimento. L’autrice produce in fotografia lo stesso effetto del “materico” in pittura, tanto da valicare spesso i confini fra le due arti. L’immagine deve essere non solo visibile ma anche tangibile.

    Il colore. Dato che i fotografi sono artisti che scrivono con la luce e quest’ultima è colei che permette il colore... Alexandra la padroneggia per tirare fuori da ogni luogo la sua essenza più pura, espressa in cromia. Come da una tavolozza, quindi, dipinge ogni sfumatura e tono possibile dal verde dell’acqua, al blu delle finestre, sino all’azzurro del cielo di Venezia (Rialto in silenzio, Venezia). Allo stesso modo l’artista pennella il magico e mistico lillà delle antiche strade di Albona (Albona – Labin), istriana ed istrionica, che porta in sé anche il colore di una lunga storia.

    Il tempo. È sul tempo che stupisce e colpisce. Poiché l’immagine naturalistica è limitata alla rappresentazione del solo istante della percezione, l’artista, facendo sua la grande lezione di Picasso e dei cubisti, immette nelle sue fotografie una quarta dimensione: il tempo. Alexandra vuole, così, che la sua opera sia vista da più punti di vista, per cui è necessario che la percezione avvenga in un tempo prolungato, che non si limiti ad un solo attimo. È necessario che l’autore abbia il tempo di vedere e quando passa alla rappresentazione artistica porti nella fotografia tutta la conoscenza che ha acquisito nella visione extra confini cronologici. La percezione, pertanto, non si limita al solo sguardo ma implica l’indagine tout court sulla struttura di tutto e sul suo funzionamento. È il passaggio della fotografia da istantanea a opera d’arte, che coinvolge l’uomo in ogni parte del suo essere: sensi, cuore, corpo, anima e mente. L’occhio di Lido, Venezia è uno sguardo “oltre”, in un unicum di passato, presente e futuro, memoria, ricordo, sogno e desiderio...

    «Il denominatore comune di tutte le foto è sempre il tempo, il tempo che scivola via tra le dita, fra gli occhi, il tempo delle cose, della gente, il tempo delle luci e delle emozioni, un tempo che non sarà mai più lo stesso.» (Jeanloup Sieff)

    Dantebus, Alexandra Mitakidis, introduzione all'autrice, pagg. 75-84, Luglio 2020



    Moj odnos s fotografijo sega daleč nazaj, že v osnovno šolo, ko mi je oče dal prve temelje za pravilno uporabo fotoaparata, oceno fotografskega kadriranja in primerno izbiro trenutka ekspozicije. Od takrat do danes je fotografija postala področje uporabe številnih idej, ki se mi porajajo vedno v stiku z resničnostjo. Pri tem ima, v mojem življenju, bistveno vlogo glasba, h kateri sem se še kot najstnica približala s študijem kitare, inštrumenta, sposobnega ustvarjanja tisoč sugestij. Nato sem bila pozorna na violine, na klavir in na saksofone. Koncerti, ki sem jih fotografirala, so bili priložnost, da uživam v sporočilu najrazličnejših izvajalcev in tudi, da v živo opazujem način, kako izražajo svoj osebni občutek za ritem, gibe telesa in predvsem njihovo uporabo inštrumenta, ne le kot tehnično dejstvo, temveč tudi kot interpretacijski podatek o izvedeni skladbi. V nekem trenutku pride do povezave med fotografijo in glasbo: to je bilo moje osemletno sodelovanje s festivalom keltske glasbe "Triskell" v Trstu. Kot odrski režiser sem imela priložnost opazovati stotine glasbenikov, ki so sodelovali v najrazličnejših žanrih, tudi po zaslugi nenavadnih glasbil. To je bila čudovita priložnost, da natančno preučim gibe, petje in tehnične značilnosti, umetniške lastnosti številnih skupin, pa tudi več solistov, ki sem jih uporabila v mnogih svojih posnetkih. Vedno me ujamejo tudi sami glasbeni inštrumenti, ki se na fotografiji pojavijo kot skulpture ali prava plastična bitja s svojim specifičnim dostojanstvom "prisotnosti". Kamera daje prvi del rezultata, ki ga želim doseči; drugi je zaupan računalniku, s katerim se "zabavam" pri oslabitvi telesnosti subjektov, dokler se včasih ne pojavijo skoraj netelesni videzi, ki z opazovalcem komunicirajo s kromatskimi rešitvami precej daleč od prvotnega.

    Cecilia Prenz, Fotografija in glasba, dve plati ene same strasti, Gallerija Pasaza (Slovenia), ottobre 2020



    La fotografa è legata affettivamente al mare, alle sue atmosfere, ai suoi riflessi sulle città (soprattutto Trieste e Venezia) che da vari anni sono per lei il bacino a cui attingere spunti creativi e suggerimenti poetici. Il centro e la periferia costituiscono un unico ambito concettuale in cui l'obiettivo fissa combinazioni di forme archi- tettoniche, realtà vegetali e umane, oggetti come testimonianze di una storia che scorre lungo gli itinerari percorsi dalla stessa autrice nella ricerca. Lo sguardo si posa spesso su fenomeni della specularità, dove le immagini duplicano le apparenze producendo il gioco dialettico fra la concretezza di un oggetto e l'impalpabilità del suo riverbero. Il movimento di linee e forme geometriche offerte dal paesaggio suggeriscono a volte amplificazioni fantastiche dell'evidenza considerata.

    La fotografia costituisce gli ambiti di una ricerca che Alexandra Mitakidis conduce da tempo sulla combinazione metafisica della luce sulla realtà. Quindi le ore della giornata, l'alternarsi delle stagioni, la sequenza delle condizioni atmosferiche incidono “impressionisticamente” sul lavoro di selezione degli scorci e/o dei soggetti, offrendole l'opportunità di intervenire sui risultati della fotografia per un ulteriore passaggio, teso a spostare i luoghi fisici verso un “altrove” ideale. In tal modo li priva della loro fisicità, per collocarli in una dimensione rarefatta dello spirito: vie, piazze, viali, dettagli architettonici, squarci urbanistici (pur in parte riconoscibili) diventano non-luoghi, aree di sensibilità dove in una sintesi iconica volutamente arbitraria possono convergere memoria e affetti, fantasia e sogno, senso di libertà e leggerezza del pensiero di chi “legge” queste opere.

    Enzo Santese, Alexandra Mitakidis, in “Nexus” mensile di comunicazione, cultura e attualità nella città metropolitana, Venezia, pag. 6, inverno 2020



    Che l’arte digitale sia nel DNA di questo scorcio di millennio è innegabile. Piaccia o non piaccia, essa ci fluttua attorno. E mentre critici e non si arrovellano per capirla, catalogarla, o predirne nel tempo la sua influenza o passitudine, noi, artisti e artiste della parola, continuiamo a sperimentare ed interrogare ciò che l’umano e l’umanoide digitale cerca di esprimere durante il suo cammino.

    Per mantenere aperto un varco verso la bellezza naturale delle cose del mondo, anche nelle sue più inaspettate contraddizioni, lo scambio, la contaminazione e/o il confronto sono un terreno più fruttifero e pacifico di quello giornalmente offertoci da ogni dove – sia nel campo politico sia in quello socio-culturale.

    Con questo spirito, e dopo aver visto le foto digitali di Alexandra Mitakidis esposte in prima assoluta preso l’Istituto Romeno di Venezia lo scorso autunno, ho sentito l’impulso di rispondere agli scatti vibranti di Alexandra con la ‘parola’ poetica.

    L’idea è piaciuta alla fotografa e ad altri poeti e poetesse; l’entusiasmo è cresciuto e ha prodotto questo progetto in cui la poesia s’incontra con la fotografia nella sua particolare espressione digitale.

    Le voci poetiche qui coinvolte appartengono ad esperienze geografiche e generazionali differenti e hanno risposto, ognuna secondo la propria poetica, alle sollecitazioni delle foto scelte tra quelle esposte dall’autrice durante la mostra.

    Una maggiore sfida al progetto stesso è stata data anche dalla consapevolezza di non essere certo i primi ad assumere come focus di una narrazione poetica delle immagini e ci auguriamo di aver contribuito ad espandere, attraverso i versi, lo sguardo poetico di Alexandra Mitakidis, alla quale, infine, va tutto il nostro profondo ringraziamento per l’opportunità offertaci.

    Anna Lombardo, dalla presentazione del libro 15x15 la Fotografia incontra la Poesia, Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 2020



    Hoy comparto con nuestros lectores de la Bloga una antología que se publica en Venecia, Italia, titulada 15 X 15, la Fotografía incontra la Poesia (Amor del libro, 2020). Esta antología fue coordinada por Anna Lombardo, poeta y directora del Festival Internacional de Poesía la Palabra en el Mundo de Venecia. La casa editorial, Amor del libro, que la publica es una pequeña casa editorial originalmente veneciana y especializada en libros de arte.

    En 15 X 15, la Fotografia incontra la Poesía, la fotógrafa Alexandra Mitakidis comparte quince fotografías de su autoría. A estas fotografías responden quince poetas con un total de veintiséis poemas. Cada poema en la antología está en el idioma original en el que fue escrito con su traducción al italiano. Los poetas que participamos en 15 X 15, la Fotografia incontra la Poesia somos los siguientes: Grigore Arbore, Maurilio De Miguel, Silvia Favaretto, Fabia Ghenzovich, Lucia Guidorizzi, Adriana Hoyos, Odvieg Klyve, Anna Lombardo, Laura Marchig, Enzo Santese, Angelo Scandurra, Gabriella Valera, Bernard Vanel, Roberto Veracini y la que escribe, Xánath Caraza.

    La presentación de 15 X 15, la Fotografia incontra la Poesía en Venecia, Italia, será el viernes, 28 de agosto a las 18 horas en la sede de la editorial Amor del libro en Dorsoduro – Ca’Foscari 3253. Participan Anna Lombardo y Enzo Santese para comentar sobre ésta.

    Con agradecimiento y alegría comparto esta información. Me siento honrada de ser parte de 15 X 15, la Fotografia incontra la Poesia y sobre todo poder celebrar la palabra en estos tiempos tan inusuales. Dos de mis poemas, originalmente escritos en español, forman parte de esta colección visual y poética. Los títulos de mis poemas son “Corazón de agua” y “Susurros en el aire”.

    Desde la ciudad de Kansas envío un gran saludo poético a Venecia que también ha sido grandemente afectada por el Covid-19. ¡Que la poesía nos salve!

    Xánath Caraza, 15 X 15 la Fotografia incontra la Poesia, in “ La bloga - The world's longest-established Chicana Chicano, Latina Latino literary blog, 16 agosto 2020



    Il progetto

    La fotografia innesca un meccanismo di connessione tra i suoi contenuti e quelli della poesia proponendo una serie di combinazioni concettuali affidate alla linea di congiunzione tra immagine visiva e parola scritta.

    Il Festival Internazionale di Poesia “Palabra en el Mundo / Parola nel Mondo” che, ormai giunto alla XIV edizione, si svolge ogni anno nel mese di maggio in centinaia di località di 40 Paesi di ogni continente con letture poetiche e altre manifestazioni culturali interdisciplinari (letteratura, musica, arte e cinema) nel periodo dall’1 al 31 maggio. L’iniziativa è inserita nel Festival Internazionale di Poesia organizzato a L’Avana, nell’ambito del “Proyecto Cultural Sur Internacional” della rivista “Isla Negra”; il tema conduttore è sempre la paz y la fraternidad / per la pace e la fratellanza. Anche quest’anno avrebbe dovuto svolgersi la manifestazione dislocata in più sedi e in più giorni, ma gli effetti della pandemia hanno costretto gli organizzatori a ripiegare su incontri virtuali sulle reti social, spostando eventualmente all’autunno inoltrato le letture e riflessioni in presenza. A Venezia il Festival è diretto dalla scrittrice e traduttrice Anna Lombardo che in questa situazione d’emergenza ha ideato un sollecitante meeting dentro una realtà editoriale. Nella prefazione sottolinea infatti: “Per mantenere aperto un varco verso la bellezza naturale delle cose del mondo, anche nelle sue più inaspettate contraddizioni, lo scambio, la contaminazione e/o il confronto sono un terreno più fruttifero e pacifico di quello giornalmente offertoci da ogni dove – sia nel campo politico sia in quello socio-culturale. Con questo spirito, e dopo aver visto le foto digitali di Alexandra Mitakidis esposte in prima assoluta presso l’Istituto Romeno di Venezia lo scorso autunno, ho sentito l’impulso di rispondere agli scatti vibranti di Alexandra con la parola poetica”. Il che si è tradotto in una pregevole volume – edito per i tipi del Centro Internazionale della Grafica di Venezia – in cui quindici foto di Alexandra Mitakidis sono state il pretesto per una riflessione di altrettanti (da cui il titolo “15 x 15 – la Fotografia incontra la Poesia”) poeti internazionali appartenenti a differenti sensibilità espressive e provenienti da diverse aree geografiche: Grigore Arbore, Xanath Caraza, Maurilio De Miguel, Silvia Favaretto, Fabia Ghenzovich, Lucia Guidorizzi, Adriana Hoyos, Odvieg Klyve, Anna Lombardo, Laura Marchig, Enzo Santese, Angelo Scandurra, Gabriella Valera, Bernard Vanel, Roberto Veracini. Tutte le poesie in lingua straniera sono state tradotte in italiano con il testo a fronte.

    L’autrice delle immagini è l’artista e fotografa triestina è Alexandra Mitakidis che ha scelto da qualche decennio la macchina fotografica come strumento per dipingere le proprie emozioni a contatto con le realtà più diverse: le città e la loro storia, i suggerimenti delle forme architettoniche, il gioco di ombre nelle diverse ore del giorno e nella variabilità delle stagioni, le scene di umanità in cammino verso le rispettive occupazioni quotidiane, le geometrie prospettate dalle vie, dalle piazze, dagli spazi di superficie e ipogei (l’artista ha dedicato sempre un’attenzione particolare al brulichio della gente nelle stazioni della metropolitana a Milano e a Parigi) e la natura nei suoi riflessi più segreti. Dopo aver “catturato” l’attimo più rispondente al suo progetto, l’artista utilizza il computer per un’operazione di “chirurgia estetica” del mondo fisico, caratterizzandolo con cromie tanto accese da distanziarlo dalla forma e colori effettivi, compiendo così quel salto metamorfico che consente alle cose di perdere la loro fisicità di base e rarefarsi in simulacri di luoghi che, a questo punto, appartengono alle regioni dell’anima e del pensiero più che all’esistente.

    Le articolazioni del volume

    Nella sequenza del libro la prima foto elaborata da Alexandra Mitakidis è San Alvise, in cui la porzione di cielo contamina con il suo colore lo scorcio veneziano omonimo, virato verso il blu che lo domina. A questo ispira Grigore Arbore, scrittore e critico romeno che nella città lagunare dirige l’Istituto di Cultura del suo Paese. Due liriche, Ho sentito il meraviglioso suono e Mattinata romantica, presentano momenti di stretta contiguità tra sguardo su alcuni dettagli del reale e loro riflesso simbolico sulla storia e la leggenda in un ritmo leggero e colloquiale. Segue poi l’immagine che nel taglio alto attira lo sguardo verso le Cupole veneziane, capace di rimandare Zanath Caraza, nelle poesie Sussurri nell’atmosfera, e Cuore d’acqua, alla considerazione di una fisicità, l’atmosfera e l’acqua della realtà lagunare nella loro capacità di far viaggiare il riflesso simbolico dentro opzioni molteplici; Alexandra Mitakidis in Calle dell’Indorador pratica l’inquadratura dal basso di un palazzo esaltato nel rosso veneziano, che fa scivolare lo sguardo verso uno spicchio di cielo e suggerisce appunto allo spagnolo Maurilio De Miguel una Vicinanza con il cielo, una proiezione metaforica dalle strettoie di superficie alle larghe e libere aperture dell’aria. La foto Finestre sul campo invita la scrittrice veneziana Silvia Favaretto a una riflessione sul lento degrado della città lagunare; nel ritmo della lirica Le pietre di Venezia esprime con vibrante affetto una certezza: le pietre di Venezia “sanno che per scampare alla morte / il segreto è da millenni / stare ferme e assetate bere la luce”; mentre nella lirica Sul ponte di Barnaba con un velo d’ironia inquadra il potere emblematico del manufatto. L’istantanea Molo audace nel gelo mette a fuoco una circostanza invernale, la banchina spazzata dalla bora e coperta in alcuni punti dal ghiaccio. Nei due tempi poetici intitolati come la fotografia, Fabia Ghenzovich, veneziana di nascita, si immedesima nella circostanza trasponendo i dati fisici dentro la dinamica di versi concepiti per rendere “visivamente” lo stato d’animo scaturito dalla scena. In Upsidedown Alexandra Mitakidis modifica la realtà vera e quella specchiata e crea l’effetto illusionistico con un capovolgimento dei due termini. Lucia Guidorizzi, scrittrice nativa di Padova e veneziana di adozione, traspone lo spunto tematico dell’immagine in due poesie, Sguardo bizantino e Il canale sospeso, dove i riflessi della storia intridono il presente e l’idea del riverbero si realizza in una festa policromatica di presenze; infatti dice: “Ci sono ore in cui i colori si mescolano / Sfumando l’uno nell’altro /In un fragile equilibrio di bellezza / si sfiorano alto e basso”. Con la messa a fuoco di alcune Geometrie architettoniche veneziane Alexandra Mitakidis instilla nella colombiana Adriana Hoyos l’idea di una combinazione concettuale tra il dato razionale della materia e la consistenza rarefatta della metafisica.

    L’obiettivo dell’artista nella foto Curve esalta le peculiarità anatomiche del nodo nella corteccia di un grande albero; a queste si connette con la sua sensibilità di poetessa la scrittrice norvegese Odvieg Klyve, attenta a cogliere nella sua composizione, Curva, i segni del tempo che diventano alfabeto di natura. L’occhio della fotografa si sposta poi su Venezia fuoco dell’Occidente, dove il ponte che si staglia nel rosso acceso del tramonto avvia in Anna Lombardo una riflessione sui rapporti umani, fatta confluire dentro la poesia Pensieri insubordinati e in quella senza titolo, composte da versi di strofe leggere nel ritmo e incisive nel tema: “Fragilità minuscole / tra polveri di miriadi / di stelle cadenti /- / Sconosciuti – spaesati / nei pensieri insubordinati / sillabe suoni spasmi avvolti /-/ Con l’orizzonte infinito / sempre infinito / carico di domande inquiete .”

    Alexandra Mitakidis con la foto La musica unisce presenta un suonatore di strada e un bambino incantato dal funzionamento dello strumento. La capacità infantile di stupirsi di fronte a ogni novità entra di peso nella poesia La musica dei bambini della scrittrice e traduttrice croata Laura Marchig, che nel testo La musica unisce raccoglie, quasi interattivamente, il cenno della fotografa per “disegnare” a sua volta una scena di supporto al concetto che l’armonia dei suoni può essere forza attrattiva dei sentimenti. Seguendo lo sviluppo del libro, ci si imbatte nella visione di Paris: La Chapelle, con le sue splendide vetrate e gli elementi gotici che la contraddistinguono; fu costruita nella seconda metà del secolo XIII da re Luigi IX per farne prezioso scrigno delle reliquie della Passione di Cristo, consistenti nella corona di spine e un frammento della Croce. Viaggiatori da tutto il mondo arrivano nella capitale francese con l’intento preciso di vedere le sue vetrate, le pitture murali e le sculture. Nelle poesie Verso il consueto il sottoscritto (Enzo Santese, poeta e critico di Trieste) coglie un atteggiamento dei viaggiatori nella metropolitana della capitale francese e nella seconda poesia, La chapelle e il cielo, la bellezza che promana l’interno dell’architettura, elemento di distrazione dei pellegrini nei confronti dell’originario carattere sacro del luogo. Nella foto Scansione di cielo all’interno del Mart invece c’è una vetrata che fa da soffitto illudendo una decisa prossimità alla volta celeste; questa vista fa volare il pensiero e la vena lirica di Angelo Scandurra, poeta originario di Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania; i versi percorrono sentieri punteggiati da stelle che cadenzano la tramatura dell’infinito. Le Geometrie di Famagosta esibiscono la razionale scansione della parete di un grattacielo a Milano e prestano a Gabriella Valera, storica e poetessa di Bacoli in provincia di Napoli, “materia” per l’elaborazione di un pensiero veicolato in due poesie, dove la luce è combustibile primario per l’avventura dell’intelletto e del cuore.

    La Francia ha un posto di rilievo in questo libro, convalidato dalla presenza di Parigi, la piazza di fronte al Centro Pompidou, dove plana con la fantasia e con la poesia Bernard Vanel, scrittore e traduttore francese. L’immaginazione è alimentata dalla forma della piazza e dall’edificio del Beaubourg che sembrano evocare la forma di una nave dove idealmente il poeta si imbarca.

    Infine Nizza si apre dinanzi agli occhi dell’osservatore con la bellezza della Promenade ripresa nella foto Nizza, passeggiata solo degli inglesi. Quella bellezza sospinge l’immaginazione di Roberto Veracini, autore di Volterra in provincia di Pisa, a ricercare “la memoria stupita / d’ogni bellezza perduta / e ritrovata” dentro Venezia, “il centro inimmaginabile / di ogni possibile / viaggio.”

    Enzo Santese, In un volume prezioso la Fotografia incontra la Poesia. Venezia, 15 opere di Alexandra Mitakidis ispirano altrettanti poeti, in “Arte, Rivista de cultura europeana”, da pag 82 a pag 93, ottobre - dicembre 2020



    Friuli Venezia Giulia – Alexandra Mitakidis ImageArt. L'artista Alexandra Mitakidis, fotografa, fonda la sua pregevole arte su di tre fondamentali elementi: Il Rilievo, Il Colore, Il Tempo. Nello stile a rilievo, il colore e la quarta dimensione del tempo addotta uno stile elevatamente tecnico a “rilievo” professionale, scelta cercata in un lungo corso di studi e sperimentazioni, che va a rappresentare la “firma d'autore” e fornisce alle sue opere una forte e caratteristica timbrica, la padroneggia per tirare fuori da ogni luogo la sua essenza più pura, espressa in cromia. Come da una tavolozza, quindi, dipinge ogni sfumatura e tono possibile dal verde all'acqua, al blu delle finestre sino all'azzurro del cielo. Poiché l'immagine naturalistica è limitata alla rappresentazione del solo istante della percezione, l'artista facendo sua la grande lezione di Picasso e dei cubisti, immette nelle sue fotografie una quarta dimensione: il tempo che stupisce e colpisce.

    L'autrice produce in fotografia lo stesso effetto “materico” in pittura, tanto da valicare spesso i confini fra le due arti dove l'immagine non solo è visibile ma anche tangibile. Vuole così, che la sua opera sia vista da più punti di vista, per cui è necessario che la percezione avvenga in un tempo prolungato, che non si limiti ad un solo attimo pennellando di magico e mistico i luoghi della sua ispirazione nelle antiche strade porta in sé anche il colore di una lunga storia.

    La percezione non si limita al solo sguardo ma implica l'indagine tout court sulla struttura di tutto e sul suo funzionamento. É il passaggio della fotografia da istantanea a opera d'arte, che coinvolge nello sguardo umano ogni parte del suo essere: sensi, cuore, corpo, anima e mente. L'occhio è uno sguardo “oltre” in un unicum di passato, presente e futuro, memoria, ricordo, sogno e desiderio.

    Graziella Valeria Rota, in “Rivista 20”, pag. 38, novembre-dicembre 2020



    Tre sillogi, quattro elementi, una musica: SCATTI HAIKU di Alexandra Mitakidis è un percorso di iniziazione che dalla forma haiku più classica e conosciuta, quella descrittiva legata alle stagioni, approda a quesiti aperti sul trattamento dell’anima. Un territorio poco frequentato: nessun manuale tratta dello stordirsi quotidiano nell’agitato vociare interno e nell’apparente tranquillità con cui ci rapportiamo all’esterno.

    Con un bagaglio di eccezionale empatia la prima silloge, “Quattro elementi”, aderisce all’esperienza piana - scandita da balzi di coscienza - del contatto con l’universo naturale. Già nella prima silloge c’è qualcosa di più: è la percezione cosmica dell’infinitamente grande (l’‘incommensurabile’ della foresta) e l’infinitamente piccolo (la caduta di una sola bacca).

    Scura foresta

    incommensurabile

    cade una bacca

    In perfetta rispondenza al circostante si svolgono anche le altre composizioni (il ‘mobili’ che si accompagna alla crescita primaverile, l’inverno del corvo in dialogo con un ramo ‘avvizzito’, che non risponderà).

    La sensibilità al colore, affinata dall’esercizio alla fotografia, torna bene alla poeta che percepisce, sotto al ghiaccio, il ‘blu indaco’ e altri colori, prima che forme, intuiti, anzi, visualizzati dietro il velo dell’apparenza. Vi soggiace l’adeguata cognizione filosofica dell’autrice. Altrettanto dicasi per la sensibilità al movimento: il ‘volo radente’ della rondine, il ‘declivio di vento’ coniugano in modo non scontato quello che l’occhio abituato a guardare coglie con prontezza.

    Diverse composizioni sono rafforzate da allitterazioni ‘fisiologiche’ come le r/n/l (fan tutte perno sulla lingua, definita dallo shiatzu ‘germoglio del cuore) di

    Verde di pini

    un declivio di vento

    resina dolce

    dove il passaggio è triplice: il primo verso dipinge, il secondo tramuta (il vento non solo accarezza, ma è il declivio), il terzo porge a chi legge il senso allertato: è il ‘dolce’ sperimentato come gusto dell’anima. Questo serve all’haiku: avvalorare l’esperienza, consentirci di attraversarla ed uscire dalla sua brevità arricchiti/e di nuovo senso e con i sensi – solitamente sopiti – disponibili a nuove esperienze. O serve a rileggere in rimembranza, con maggior consapevolezza, esperienze già avute: cosa ci aveva impressionato? Un profumo? Un movimento? Quale dettaglio ha scolpito il ricordo incancellato?

    In SCATTI DI HAIKU il passato è in costante dialogo con il presente. Sono haiku che scorrono fondendo, ad esempio, il presente con il deserto storicamente conosciuto dall’autrice nell’infanzia/adolescenza, da bambina, per esperienza diretta, paesaggi che riemergono nelle personificazioni della sabbia e del vento. Ma sono anche haiku plurisensoriali:

    Brezza serale (il con/tatto)

    il ciliegio in fiore (la vista)

    profumo di thè (l’olfatto)

    I versi procedono in reciproca generazione e riconiugazione con le immagini: sottotitolo di SCATTI HAIKU, non dimentichiamo, è ‘al suono di figure e parole’. Totalmente inedito (che mi risulti) è ipotizzare una sequenza di haiku come spartito: sarebbe interessante realizzare – con le opportune polifonie – una musica capace di far brillare, incastonato tra i suoni, il suono di una foglia che cade. In attesa di un arrangiamento, la silloge ‘Spartito virtuale’ invita a creare e suonare la propria musica, il che richiede lettori e lettrici attenti, attrezzati a calibrare dentro di sé tempi e durata della suggestione fonica. Territori inesplorati.

    Sono dunque questi i ‘concerti di silenzio’? Bagagli che ci saranno utili per entrare nel ‘Sole d’Oriente’ , dove il soggetto è la materia sottile, il trattamento dell’anima nella ‘normalità’, perché

    In questa vita

    mentre guardi i fiori

    scali l’inferno

    e

    Suona la nota

    oggi diventa ieri

    bussa il tempo

    Sul finale, a dispetto del tempo, tutto sembra essersi svolto nel calar di una spada. L’haiku azzera e contiene ogni durata:

    Il maestro zen

    lo spirito urlante

    forza sottile

    Antonella Barina, prefazione del libro “Scatti Haiku, al suono di suono di figure e parole”, Centro internazionale della Grafica, Venezia, settembre 2021



    L'artista triestina ritrae scorci urbani, paesaggi e dettagli poi rielaborati al computer per abbinarli a versi intrecciando parole e segni.

    Per Alexandra Mitakidis la fotografia è la giusta combinazione di tecnologia e arte. La sua è una lunga consuetudine con questo mezzo che frequenta con ricerca sistematica fin da giovanissima. E' docente di fotografia al corso internazionale della manifestazione culturale “Castello di Duino Competition” e ha all'attivo molte mostre. In questi giorni esce il bel libro “Scatti haiku al suono di figure e parole” pubblicato dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia che aveva già edito un suo precedente lavoro, “15x15-Quindici immagini di Alexandra Mitakidis per quindici poeti internazionali”, promosso in occasione del Festival di poesia Palabra en el Mundo – Parola nel Mondo di Venezia.

    L'idea è quella di entrare nel mondo del famoso componimento giapponese che con tre versi evoca un'immagine della natura in cui si rispecchia un pensiero, grazie anche all'intreccio tra parole e segno. Se nella poesia nipponica ci sono gli ideogrammi a supportare la parte grafica, la fotografa triestina ha inserito invece i suoi scatti – paesaggi, scorci urbani, dettagli – colti dopo una lunga osservazione e successivamente elaborati al computer per modificarne i colori e la resa. Lei stessa ci spiega la genesi del libro. “Foto e haiku – racconta Mitakidis - nascono separatamente, anche se già quando scrivo gli haiku ho in mente sensazioni o visioni che faccio convergere poi in abbinamenti molteplici tra immagine fotografica e immagine scritta. Quando devo trovare un'immagine da associare all'haiku potrei quasi dire che è l'haiku a dirigere la scelta perché, leggendo e rileggendo i versi, mi viene in mente una foto specifica che ho in archivio.

    Lei ha iniziato a fotografare quand'era ancora una ragazzina. Che approccio aveva allora?

    “Le macchine fotografiche, quando muovevo i primi passi, erano analogiche. Anche se non permettevano tutto quello che l'attuale tecnologia consente di fare, io cercavo sempre la fotografia alternativa con i trucchi che erano possibili con quelle macchine, ad esempio il doppio scatto sullo stesso fotogramma, il “tirare la pellicola”, la sottoesposizione, ed ero sempre alla ricerca di prospettive non banali. Avendo vissuto in Medio Oriente mi dilettavo a fotografare sia paesaggi che architetture, trovano tutto insolito”.

    Nel libro ci sono alcuni scatti fatti a Trieste. Quali parti della città predilige fotografare?

    “Mi piace molto il Porto Vecchio nella sua parte ancora da ristrutturare, come mi piacciono le costruzioni in decadimento, tutto quello insomma che non ci sarà più, o la parte della città che è più legata alla vera storia di Trieste e al suo passato”.

    Ci sono fotografi che la ispirano?

    “Da piccola leggiuchiavo il Time che arrivava regolarmente a casa e ricordo come fosse ieri alcune immagini di Robert Capa che poi ha fatto la storia. Mi piace molto anche Salgado. Non posso però dire che mi ispirano, anche perché le loro immagini sono in bianco e nero, un genere che io non tratto. Apprezzo il lavoro degli altri, ad esempio Giorgio Fontana, Siegfried Hansen, Thomas Leutrad, Ilias Tabakis, Rodney Smith, cerco sempre di avere qualche spunto per la mia ricerca artistica ma non voglio imitare nessuno. Quando vado in giro armata della mia Nikon è un po' come se vedessi attraverso l'obbiettivo così colgo prospettive o combinazioni di luce o geometrie che possono entrare nel mio archivio di ricordi visivi che risulta davvero come un diario personale per immagini.

    Con la fotografia cosa si può raccontare oggi?

    “La sua portata sociale e culturale è enorme, la fotografia esercita una forte seduzione su ogni aspetto della nostra vita. Talora basta un solo scatto a influenzare le persone tanto potente è questo strumento che con la sua persistenza visiva può agire sui comportamenti e le idee delle persone”.

    Corrado Premuda, Fotografia – Nelle immagini di Mitakidis gli haiku guidano l'obbiettivo, “Il piccolo”, Trieste, pag. 26-27, 28 settembre 2021



    Conosco Alexandra Mitakidis personalmente ed è per me stata una piacevolissima scoperta questo suo nuovo volume che accoglie non solo le sue splendide fotografie, che conoscevo, ma anche degli eleganti e vibranti haiku scritti da lei. La pregevolissima edizione, con pagine scritti in sovraimpressione a delicate immagini, ha prefazione di Antonella Barina e si fregia dell'eccellente uso di materiali tipografici del Centro internazionale della grafica. Ogni haiku è infatti abbinato ad una fotografia a colori con cui dialoga, in rimandi che arricchiscono la lettura. Mentre sfoglio le pagine, l'autrice, i suoi scatti e i suoi versi mi si rivelano come un tutt'uno di grazia e forza; Alexandra è una donna bellissima, alta e flessuosa, con lunghi capelli che incorniciano la sua Nikon mentre ti inquadra. Una donna solo apparentemente delicata, poiché come i suoi scatti e i suoi haiku ha un'intensità contundente, precisa, quasi feroce nel suo nitore:

    Il corvo chiama

    Un ramo avvizzito

    È primavera

    Le fotografie accompagnano la lettura scandendo il passaggio da un sentire all'altro, contribuendo a creare l'epifania di un momento che racchiude lo svelamento di senso universale che c'è dietro alle parole e ai colori. La nitidezza delle forme stagliate e dei colori brillanti appare in haiku come

    Sale il sole

    Rugiada sulle foglie

    Erba luccica

    Altri componimenti invece pongono il lettore di fronte a staticità e movimento, descrivendo l'atroce destino che si compie sotto lo sguardo immobile della divinità, che è al tempo stesso l'autrice e chi si accinge a leggere:

    Dune di sabbia

    Il falcone vigila

    La preda corre

    I sensi dello spettatore della fotografia vengono coinvolti, assieme alle parole che legge, dal lieve movimento del vento, piccola altalena fugace, oppure il tatto ci permette di sentire il bagnato con il tepore del vento di luglio e, per ltima, l'immagine ci cattura quanto l'opera paziente del ragno:

    Gocce appese

    Ragnatela oscilla

    Brezza estiva

    Sono versi che spingono a riflettere, questi haiku di Alexandra, in cui lo scintillio dell'acqua sporca sull'asfalto comunque ripropone il fulgore dell'occhio divino:

    Luce riflessa

    In una pozzanghera

    Specchio di sole

    E dai componimenti traspare anche un anelo di speranza, una necessità pressante in quest'epoca incerta in cui viviamo: l'arte è quel faro splendidamente ritratto da Alexandra, capace di metterci in salvo da tentacoli urticanti e altrettanto appuntite delusioni:

    Vecchia lanterna

    Nel mare di meduse

    Guida le navi

    Soprattutto l'abbinamento tra immagine e parole è capace di trasferire con maggior forza la sensazione ritratta dall'autrice ad un lettore che, guardando la fotografia "suoni tribali" si sente avvolto dal fuoco, sente il crepitio del legno tra le fiamme, riesce a percepire il calore. 

    Scrivere un haiku è acuire i sensi per riappropriarsi della realtà sottile, quella che normalmente ci sfugge e che è invece l'essenza di questa scrittura che catapulterà il lettore di “Scatti haiku” in quei paesaggi: un libro prezioso perché plaquette poetica ma al tempo stesso curato catalogo fotografico ed in fine anche un caleidoscopio con cui riattivare ricordi della nostra vita e riportare alla mente il rumore delle foglie secche che scricchiolano sotto ai nostri passi:

    Foglie cadute

    Un suono di autunno

    Lontani passi

    Silvia Favaretto, Alexandra Mitakidis, Scatti haiku al suono di figure e parole, Gennaio 2022.