TESTO CRITICO DI LEO STROZZIERI
Dal catalogo della mostra “EXTRA MOENIA”, Venezia – San Servolo
12/06/2021 – 10/07/2021
Antonella Peresson dà vita sulla tela a un complesso di sovrapposizioni e stesure di colore che esibiscono la forza di un rilievo variabile e secondo il potere significante assegnato ai vari elementi della composizione: tra questi piccole porzioni geometriche disseminate sulla superficie, come pietre miliari per un viaggio fantastico nel passato; la memoria è uno dei perni ispiratori di questa poetica.
Da un totale punto di vista la sua pittura , pur vicina a modelli di astrazione ,è pienamente dentro la matrice figurativa, anche se il dato della realtà è quasi completamente trasfigurato da un segno incisivo e marcato e da una cromia che al bianco si affida per segnare stacchi o per distinguere tonalità in composizione. Da notare la forma quadrata nella scelta dei supporti che si ripete da tempo nel gioco delle dimensioni e l’avvalersi delle tonalità delle terre e delle loro mille derivazioni cromatiche.
Enzo Santese
da "Arte" – novembre 2006
Gazzetta di Modena – 24/5/2007
Paradisino: undici artisti per “Color-Action”
"Color–Action” è la mostra, organizzata dalla Libera Accademia "Scuola del Vedere" di Trieste, che si inaugura oggi alle 18 al Paradisino di corso Cavour 52 e si potrà visitare fino al 2 giugno. Espongono undici artisti, da Anna Maria Assanti a Femi Vilardo.
Ecco gli artisti del colore e dell'azione
Nella vitalità della "pittura d'azione" prendono corpo le opere che costituiscono la mostra "Color-Azione", fino al 2 giugno, al Paradisino.
In direzione astratta va Walter Hergenrother che ha sempre seguito le poetiche dell'"arte concreta". Testimoniano, invece, dell'importanza della materia (colori corposi, terre, legni, ferri, sacchi, collages) i dipinti di Bianca Di Jasio, Massimo De Angelini, Antonella Peresson, Debora Gerion, e le singolari sculture in ferro e acciaio inox del castelfranchese Maurizio Benassi.
Esaltano la pittura, con il segno, il gesto e il colore Laura De Carli, Femi Vilardo e Anna Maria Assanti.
Al segno uniscono una vigorosa espressività nella figura sia Roberto Biasiol che Milena Miculan.
Vito Sutto
da "Il Friuli" n. 8 – marzo 2002
La storia personale di Antonella Peresson è probabilmente intrecciata di mare e di paesaggi giacché l'autrice si sofferma molto su questo mondo con la luce e il mare a comparire e scomparire sulla tela, dietro gruppi di case affogati di rosso, dietro riposi di barche che sembrano suggellare tante attese, tante pause, tanti silenzi rotti solamente dal singulto, dal sussurro del mare.
Scrivendo di lei tempo fa accennai a una sorta di naturalismo nostalgico, di un'atmosfera respirata di solitudine surreale, di quadro in cui si incrociano gialli e rossi, azzurri, tonalità varie. Scrissi anche di una linea di pensiero tendente all'astrazione, e spiegai trattarsi di tensione, di richiamo, non di astrazione vera. Credo che si possa dire ancora la stessa cosa dopo aver visto la recente mostra che in certi momenti sembrava proprio condurre per mano chi guardava, invitando al colloquio.
La rassegna si svolgeva a Morena di Tricesimo nell'ambito di una serie di incontri importanti con l'arte che vedono protagonisti tanti artisti alla Gelateria Vera, un luogo di incontri giovanili fin dagli anni Settanta. Anche in quella mostra la Peresson si è presentata con la consueta grinta che la caratterizza e con colori e forme vibranti.
Dunque il premio Arte 98, istituito da Giorgio Mondadori e il risultato di 1^ selezione, il Primo Premio al concorso "Il silenzio del mare" a Riccione, nel 2001, non erano momenti casuali. La Peresson si conferma sempre più come voce lirica dell'arte figurativa. Di lei oggi vorrei ribadire questo impagino concreto, gradevolissimo, profumato di mare e vivido di queste case aggruppate e sole.
L'assenza di figurazione umana non stona, anzi. Me li aspetto così questi paesaggi mediterranei di Antonella Peresson, con tanti oggetti che diventano intuiti piuttosto che definiti, in una pennellata generosa. La fragranza dei colori concede a chi guarda un respiro.
Vito Sutto
Sono di derivazione cubista le espressioni pittoriche di ANTONELLA PERESSON: agglomerati urbani, nei toni del rosso e del giallo, con un'elaborazione che compatta il dato oggettivo arrivando ai limiti dell'astrazione. C'è qualcosa di "primitivo" nelle opere di Antonella Peresson, un essenzialismo istituzionale di fondo per cui forme e colori convergono verso un denominatore comune. Privilegia i colori caldi e le forme geometriche. Ciò le consente di giungere ad una maggiore sintesi. Movimento e ritmo sono ingenerati dalle scansioni formali e cromatiche, ora calibrate ora esaltate, quali fluttuazioni emotive di un sensibilissimo sismografo.
Silvano Clavora
Il nudo femminile della pittrice Antonella Peresson
Il nudo femminile è una delle meraviglie nascoste nella carne viva: il simbolo della sensualità che richiama la danza nuziale, l'armonia delle curve che ispira il desiderio, il poema scritto nella musicalità del movimento o nella voluttà di posare, il mistero che tiene nascosto il nido della vita, il calice dove si sviluppano le nuove esistenze.
Non per caso si dice che qualsiasi donna nuda è bella; in effetti l'espressività della sua intima struttura svelata la rende unica.
L'arte della pittrice è riuscita a strappare il segreto della bellezza insinuata nel corpo nudo della donna e dare a questo l'immortalità associandolo agli elementi fondamentali in una fusione che li legano in eterno. Il nudo è acqua, aria, terra, argilla, pietra, cristalli, pietre preziose.
L'acqua riceve il corpo come una parte di sé stessa in un fluido abbraccio e poi si ritira lasciandolo a risplendere come una statua di marmo color carne, circondandolo e radunandosi in ombrose densità per sottolineare afrodisiache forme, l'accompagna con discrete sfumature lungo la curvatura della schiena, accarezzandole la rotondità del braccio o disegnandole la perfezione del seno; scivola poi nella fossetta delle natiche ed entra con un dolce tocco tra le cosce piegate con grazia per finire il suo lascivo percorso lungo le affusolate gambe e delicate caviglie fino al beccuccio delle dita dei piedi.
Il cielo si riflette con delle azzurre nuvole in movimento sulla bianchezza di un fondo schiena che sembra galleggiare in un'ovattata atmosfera. I colori della carne continuano a mimetizzarsi; il corpo si unisce alla terra, prende le nuance rosacee come i petali dei fiori e le ombre scure che dividono la schiena o delineano con un sottile filo le due parti rotonde come le mele mature dei glutei; è coricato, sprofondato nell'erba, tra i fiori, saldato con le zolle, plasmati in un'unica forma.C'è il nudo mosaico, fatto di pezzi di argilla; è una maternità, il simbolo della complessità della materia; il ventre rotondo appoggiato sui tronchi di colonne delle cosce apre un abisso, una voragine dove si forma la vita. La donna ha la testa appoggiata sul braccio piegato: pensierosa, preoccupata, cosciente della sua nuova responsabilità o forse nasconde nel suo profondo raccoglimento l'angoscia, la gioia o il pudore.
Poi il nudo perde la sinuosa rotondità; diventa geometrico, rigido, con striature color grigio, arancione, nere come la pietra. Si unisce con la materia dura, prende la sua consistenza e resta steso come una panchina scolpita nel sasso massiccio.
C'è anche il gioco, l'incontro con il corpo nudo dell'uomo; sono sfaccettati come cristallo cesellati dal dondolare dei raggi del sole riflessi nella profondità dell'acqua; loro nuotano insieme, si alzano verso la luce che frantuma i loro corpi tesi; il loro sforzo di arrivare alla superficie è congiunto, unito.
Un altro nudo, simbolo dell'orgoglio femminile, è tempestato di pietre preziose: i seni sono di ambra, l'ombelico di smeraldo, il pube di zaffiro; la traiettoria del suo braccio è molle, ambigua, come per occultare la sua nudità o per farla mostrare. La sua testa è piegata con candore sulla spalla e gli occhi sono chiusi e i tratti cancellati restano la metà in luce, la metà in ombra, così la donna diventa preziosa, evasiva, sfuggente.
Le donne svestite di Antonella Peresson ci riservano un'infinità di sorprese; i loro corpi ti fanno fermare a lungo sulla perfezione delle forme, sul significato della nudità, sull'autenticità dell' espressione, sull'umanità della loro esistenza. Ci sono tutte famigliari come fossero delle amiche con cui si vive in un ambiente comune e si prestano al gioco camaleontico di mimetizzarsi per presentarsi conturbanti e misteriose.
In effetti la pittrice ci ha dato un filo che ci conduce a identificare con concretezza il carattere umano nel corpo della materia; la fierezza di sentirci indistruttibili come parte integrante della materia stessa.
Victoria Dragone
La nascita di un collettivo d'arte è come la scoperta di una nuova stella in una costellazione infinita dove ogni corpo celeste risplende la luce che può o che gli è consentita dal riverbero invadente di altre stelle magari più alte e solenni. Accade allora che la meraviglia -autentica base del fenomeno- accenda la nostra curiosità che richiede domande, sollecita risposte sulle motivazioni che hanno determinato la scelta di proporsi al giudizio -e, spesso, al pregiudizio- degli altri. Ancor di più se si pensa al mondo dell'arte, alle sue megalomanie, ai solitari protagonisti intenti ad autocelebrare il proprio ego attraverso opere al limite della decenza. Questo gruppo friulano (due pittrici ed un pittore) -a contraddire quanto scritto sopra- si ritrova invece unito a condividere un'intensa riflessione sulla condizione transeunte dell'uomo e le sue infinite ragioni esistenziali. Una motivazione reale e non fatua, dunque. Una riflessione univoca su ciò che tale condizione è in relazione al divenire. Per definire questa figurazione concettuale del collettivo, mi vengono in mente due termini: evanescenza ed indeterminatezza. Quindi provvisorietà. Quindi pensiero rivolto all'umana fragilità, alla nostra natura immanente che nulla regala ma che, per converso, pretende di essere compresa come mistero preliminare, preludio dogmatico del Sacro, della natura trascendente che è in noi.
Antonella Peresson, coinvolta con maestria tecnica nella liturgia del nudo femminile, scompone e ricompone i suoi corpi fino a realizzare la pesantezza anatomica, il volume delle masse, dopo un'indagine di chiaro riferimento espressionista. In un processo di mimetizzazione formale, i nudi si integrano con la natura madre fino a costituire l'elemento centrale, il termine ultimo e perfetto della creazione, in composizioni che presentano un sostanziale equilibrio cromatico. La non rivelazione dei volti evidenzia il cammino interiore della pittrice nel superamento di un'identità reale verso un'identità ideale e rinascente del proprio Essere;
Il pensiero segreto dei tre artisti procede nel buio e nella luce intuitiva della mente. Inizia per loro il confronto con l'età dell'arte, il tempo della vita.
Giancarlo Bonomo
critico e storico dell’arte
La robustezza della sensualità
Nelle opere di Antonella Peresson la personificazione di un concetto astratto come la femminilità si configura come un forte legame con la sfera dell'oggettività, quasi una contemplazione a occhi aperti che si concretizza in una profonda capacità di sintesi, dove la pittrice con tratto preciso si astrae dalla realtà percettibile, avvicinandosi a un sentire espressionista che tende a sintetizzare le emozioni e i contenuti, per poi rappresentarli filtrati, quasi riassunti da pennellate decise.
Un figurativo che tende all'astratto, una consistenza geometrizzante dei soggetti, una maniera protocubista addolcita dalla morbidezza delle tinte che esalta le figure femminili generate ma, allo stesso tempo, ricondotte alla natura, ritratte nel loro fondersi con i quattro elementi: l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco.
Il differente accostamento dei materiali e il discreto tocco della spatola permettono all'artista di raggiungere risultati notevoli: un'audace impaginazione spaziale, un grande equilibrio cromatico e una costruzione plastica che sottolineano la sensazione di robustezza della sensualità, esaltata dalla costante e continua ricerca dell'artista.
Corpi nudi permeati di grazia che attraverso camaleontiche mimetizzazioni si ricongiungono con Madre Terra: un altalenante processo di rinascita, una reiterata immagine di Eva ricreata da costole fangose, tratte dalle zolle, pura esaltazione dell'ultimo anello della creazione.
Donne figlie dell'acqua: simbolo della vita e della maternità, elemento che esalta doppiamente la femminilità dei nudi; novelle Veneri che sembrano liquefarsi in un fluido abbraccio liberatorio, ma allo stesso tempo assorbire la forza e l'impeto delle onde.
Parallelamente anche nelle marine venete e siciliane Antonella Peresson racconta storie legate all'acqua. Con una pennellata generosa, con le tonalità calde dei rossi, la pittrice permette di percepire le caleidoscopiche emozioni legate al mare e alla sua gente, che non è ritratta, ma è sublimata dalle case, soprattutto dalle barche sensualmente ammorbidite da forme tondeggianti, che sembrano dondolare mollemente, come delle donne, in attesa, in dolce attesa.
Metafore delle speranze, dei silenzi e delle paure dei marinai, le barche rappresentano anche la quotidiana sfida dell'uomo all'impetuosità e alla mutevolezza dell'elemento primordiale, quasi a ricordare che ogni ipostasi della femminilità, per quanto precisa, rimane sempre perfettibile e avvolta da un delicato velo di mistero.
Barbara Sturmar
I dipinti di Antonella Peresson non sono mai superfici lisce.
Fin dagli inizi Antonella ha sempre posseduto una pennellata densa, materica, carnale, che dà un'evidenza tattile alla figura. In seguito ha ulteriormente potenziato questa densità introducendo nella sua tavolozza sabbie acriliche, che ancor più offrono una consistenza grumosa.
Questa matericità ed eterogeneità della pennellata si è poi come calata all'interno del quadro, quando Antonella -pur sempre mantenendosi fedele alle sue tecniche- ha cominciato a inserire nei suoi dipinti frammenti di fotografie, che però non sono assunte come tali bensì ricontestualizzate nella figura entro un lavoro di umanizzazione: foglie di sottobosco diventano fianchi e cosce, rocce diventano lombi di donna. Sono frammenti di carta, trattati con materiali acrilici e ricomposti in una figura -e questo dà un senso in sé stesso al dipinto-: crea una forma sofferente, bordi dei frammenti come cicatrici, e una speranza di superare il frazionamento, una speranza di ricomposizione. In un gioco di scambio, il corpo femminile entra a far parte del terreno, degli elementi naturali, aria acqua roccia, in una fusione fra carne e materia elementare.
Recentemente, però, ancora un passo ulteriore. Perché Antonella ora prende la fotografia -spazi ed elementi della città- e non la deruba del suo significato per ricontestualizzarla in una figura "altra", bensì ne assume il significato e parte da esso per ridefinirlo. Un capitello diventa un drago della cultura orientale con l'aggiunta di pochi tratti. Mantenendo il suo valore di capitello, mantenendo la sua collocazione nel contesto urbano, o meglio, mantenendo il suo valore originario all'interno di un accrescimento fantastico.
L'incastro di due realtà esistenti -una occidentale, frammento di realtà urbana, e una esterna all'occidente, proiezione di precise realtà extraeuropee- dà origine a una città fantastica. Si crea così una Udine parallela, una finestra sulla quarta dimensione.
Giorgio Placereani
Antonella Peresson dà vita sulla tela a un complesso di sovrapposizioni e stesure di colore che esibiscono la forza di un rilievo variabile secondo il potere significante assegnato ai vari elementi della composizione: tra questi, piccole porzioni geometriche disseminate sulla superficie, come pietre miliari per un viaggio fantastico nel passato; la memoria è uno dei perni ispiratori di questa poetica. Il primo impatto con l'opera sembra sospingere il fruitore dinanzi a un circuito elettronico oppure sopra una realtà urbanistica riportata alla luce da scavi recenti. Da tale punto di vista la pittura, pur vicina a moduli di astrazione, è pienamente dentro la matrice figurativa, anche se il dato della realtà è quasi completamente trasfigurato da un segno incisivo e marcato e da una cromia che al bianco si affida per segnare stacchi o per distinguere tonalità in composizione. Per il resto, il quadro, solitamente giocato sulle dimensioni oblunghe e rettangolari, si avvale soprattutto delle terre e delle loro mille derivazioni tonali.
Paolo Rizzi
Dicembre 2000
Barche nel mare incantato
Il mare, teatro immenso di suggestioni e di atmosfere, dove spesso risuona anche l'impeto delle onde con la salsedine che si espande nell'aria e irrompe nelle narici, domina il pensiero pittorico di Antonella Peresson.
Al mare da tempo ormai (soprattutto da quando ha cominciato a conoscere meglio la Trinacria, i suoi sapori forti e il paesaggio adorno dei colori e delle intensità del Mediterraneo) l'artista continua a dedicare le proprie attenzioni pittoriche.
Rapita dall'incantesimo delle spume, così come dai riflessi e dagli arabeschi disegnati dalla furia delle onde o dal trasformare d'ogni lume in magia, la pittrice udinese continua con la sua assonanza pittorica d'indefinibile beatitudine ad inseguire sogni che allontanano sentimenti gravi ed affanni.
A quel mare rivolge le sue attenzioni per nutrire lo spirito e conferire alla sua pittura vivacità colorista al ritmo della luce e della poesia. Lungi da infingimenti, l'artista propone una narrazione giocata tra segni annunciati ed una tonalità dai forti postulati cromatici che ben s'addicono alla spettacolarità della materia.
Una spettacolarità che ha nelle barche il senso del viaggio e dell'approdo, nelle tonnare il richiamo della forza della natura, nelle sabbie e nelle radure l'idea dell' accoglienza e della protezione psicologica.
Pittrice per gusto, Antonella Peresson vive da tempo una significativa stagione di passionalità cromatica e di ricerca espressiva con le forme che dilatano sul segno ed il colore che, dietro la dottrina del rituale, offrono risposte al suo spirito, secondo il famoso principio del Worringer espresso nell'opera letteraria «Estrazione ed empatia».
Il suo «Percorso di mare», giusto il titolo dell'attuale rassegna ospitata (fino al 2 aprile) dalla galleria «G.B. Tiepolo», in piazzale Cavedalis a Udine, non è il solo aspetto testimoniale dell'impegno artistico di quest'autrice, nel senso che -facendo tesoro dei vari insegnamenti ricevuti- trova felici esiti espressivi anche nelle «nature morte», nel paesaggio carsico e nella sinuosità del corpo umano.
Natale Zaccuri
da "La vita Cattolica" – 25 marzo 2000
I paesaggi naturali che ci circondano ed i luoghi in cui viviamo sono le principali fonti d'ispirazione della pittura di Antonella Peresson. Il risultato di questa scelta è visibile in una serie di tele il cui tema prevalente, nel caso di questa rassegna udinese, è l'ambiente marino e tutto ciò che lo caratterizza. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte ad un'artista in cui forte è il legame con la realtà che la e ci circonda; realtà intesa nei suoi significati più ampi: terra, corpo, società, cultura, sostanza.
Le spiagge, la vegetazione, la vita dei pescatori sono dettagli della terra siciliana che l'artista prima ha indagato con cura e poi ha rielaborato e riproposto in soluzioni lontane dal volersi risolvere in una semplice descrizione paesaggistica.
Così, nel corso del processo creativo, il soggetto di ogni singola opera, pur conservando le principali caratteristiche oggettive che lo rendono ancora riconoscibile, viene investito di allusioni che lo inseriscono in un contesto più ampio e lo trasformano in una sorta di metafora interiore.
Tema dominante di questi "percorsi di mare" sono le imbarcazioni dei pescatori.
Antonella Peresson le osserva, le esamina da tutte le angolazioni, facendo di ogni quadro non tanto una ripetizione quanto un'opera sempre nuova in cui i connotati peculiari dell'oggetto non sono mai traditi quanto caricati di un dato emozionale.
La chiave di lettura è proprio in questo assunto: il passaggio dalla meditazione interiore alla trasposizione esteriore; lavorare su ciò che vive con noi e appartiene alla nostra esistenza per dar voce a quello che la stessa artista definisce "vuoto emozionale della nostra epoca". Sentimento di disagio che ha origine nelle cose del mondo e che in esse, comunque, deve trovare una soluzione.
Per questa ragione il soggetto dei dipinti è sempre identificabile, pur se caricato di significati "altri" comunque sentiti dall'artista.
La pittrice affida al colore il compito di esprimere emozioni e di generare corpi e spazi.
Ci troviamo di fronte a tele di forte impatto visivo dove le forme non sono mai definite da una linea, al contrario, ogni cosa emerge dal fondo mediante un tratto veloce e sfrangiato che accentua la sensazione di simbiosi tra atmosfera/materia/emozione.
Il gesto pittorico s'intuisce dai tratti di pigmento piatti e sovrapposti, indice di una pennellata che non si limita a dipingere, ma che vuole costruire forme quasi plastiche.
Lo spessore del colore e le lumeggiature conferiscono agli oggetti consistenza materica, tanto che ogni singolo elemento palesa il desiderio dell'artista di far emergere la sostanza delle cose, il loro esistere. La coerenza tonale, garantita dall'impiego di tinte prevalentemente vicine alla gamma delle terre, permane costante, benché in alcune tele, come quella ambientata all'interno di uno stabilimento di lavorazione del pesce, emergano le spie di un mutamento. Notiamo qui accostamenti di tinte vivaci, come gli azzurri ed i rossi accesi, che vogliono aprire la strada ad una pittura più attenta ai forti contrasti, sentiti forse come più congeniali a rappresentare nell'immediatezza i molteplici moti dell'anima.
Importante, infine, è un'ulteriore considerazione, suggerita da alcune variazioni di stile che ci permettono di cogliere, nell'insieme delle opere esposte, la compresenza di esiti sia figurativi che astratti.
L'esistenza di questo duplice percorso mi induce a conferire a questi lavori una valenza quasi didattica. Valenza che non sminuisce certo il loro valore artistico, al contrario, è utile soprattutto per avvicinare lo spettatore a quanto vede, rendendo comprensibile, almeno in parte, il percorso artistico della pittrice. Percorso che inizia con le raffigurazioni "naturalistiche" del paesaggio marino, prosegue snodandosi attraverso le molteplici interpretazioni delle barche e si conclude con proposte più astratte.
In questi ultimi esempi il soggetto, la barca, perde i suoi attributi accidentali e diviene macchia oppure accostamento geometrico di tinte. Certamente non più identificabile a prima vista, perché proposto come pura impressione sensoriale.
Questo per dire che la non-forma ed il valore traslato attribuito al colore non sono il frutto di una pittura improvvisata, ma sono, invece, il punto d'arrivo di un percorso di approfondito studio dell'oggetto e di attenta meditazione su esso.
Tra le due, quale sia la via più consona spetta all'artista deciderlo.
Considerando i lavori esposti e gli obiettivi che con essi si vogliono perseguire, riterrei adeguato l'orientamento di stile caratteristico della maggior parte dei quadri proposti, ovvero quello tendente in misura maggiore, anche se non totalmente, al figurativo.
In particolare, gli esempi interessanti sono quelli in cui viene raggiunta una sorta di "via di mezzo" tra forma e non-forma. Mi riferisco al nudo di donna visto da tergo, o alla natura morta con bottiglie, dove l'immagine emerge ai nostri occhi, pur essendo già in parte assorbita/astratta nella materia pittorica; in un interessante equilibrio tra sé e altro.
Equilibrio che andrebbe, a mio avviso, sicuramente mantenuto ed approfondito come tratto distintivo di un’artista che, per renderci partecipi della sua arte e per trasmetterci il suo messaggio emozionale, sceglie di lavorare sugli elementi di una realtà che è quella in cui tutti noi viviamo.
Silvana Comelli
Percorsi di mare
Il mare è all'origine delle cose e, come la vita, si trasforma continuamente nelle luci, nelle atmosfere, nell'essere fonte di lavoro, di riposo, di nostalgia, di allegria. È lo specchio dell'animo umano nella sua variabilità e nella sconosciuta e insondabile profondità buia, contenitore delle mille sfumature dei sentimenti. Nelle marine compaiono anche le tonnare, luoghi antichi, ricchi di storie di vita e di morte. Entrando nelle tonnare dismesse, dove i vecchi attrezzi, gli enormi barconi incrostati dal sale di innumerevoli onde e le reti aggrovigliate sono accatastati come in un'opera d'arte naturale, è apparso "l'interno" del mare che ha esercitato sull'autrice un forte fascino.
Interno ed esterno, buio e luce, simbolo e realtà: ecco gli opposti e complementari poli che sono elaborati in questo percorso pittorico.
Lorena De Biasio
da "Lo stiloforo"
Periodico del Centro d'Arte G.B.Tiepolo
La femminilità del paesaggio
Antonella Peresson espone alla Loggia a Udine le sue terre e i suoi acrilici. Dalla terra emerge la figura umana, prevalentemente femminile, dall'essere umano poi giunge la descrizione della terra, una vera e propria descrizione, fatta di segni e di tracce, una vivezza materica, un'ossatura dentro la quale trova spazio e dimensione il colore. La mostra della Loggia si può scoprire in due sezioni, la prima quella delle figure femminili, donne distese, che si scoprono e, mostrando delle garbate nudità, offrono all'occhio il profilo di un colle, una sorta di paesaggio che diviene dall'essenza femminile. La seconda parte della mostra ci propone paesaggi veri, forse di derivazione espressionista, con qualche memoria cubista; disegni di quadrati e di rettangoli variamente colorati si oppongono e costituiscono un luogo. Quando lavora sui paesaggi Antonella Peresson costituisce luoghi, è quasi un suo imperativo categorico; tra gli acrilici e le sabbie abilmente manipolate, racconta luoghi e riferisce, come se frugasse nella memoria, che la natura circostante offre spunti per riflessioni e racconta il mistero delle cose nei luoghi dove si raccoglie e si concentra. Qualche lieve concessione all'astratto c'è... e si vede, soprattutto nel quadro centrale della mostra, nel quale si rovesciano rossi accesi e si profila una figura femminile. Quasi una pausa esistenziale contrassegna la sua gestualità: lei è ferma e seduta e sembra guardare indefinitamente un paesaggio indefinito. L'opera che proponiamo è intitolata "Marina", una mista su tela. In questo passo artistico che ci sembra significativo, al di là della personale dell'autrice che propone passi emozionanti e talvolta commoventi, possono essere intraviste alcune barche solatie, quasi abbandonate, mentre sullo sfondo si ergono delle costruzioni che appaiono precarie e soffuse di una certa malinconica solidità. Nello sfondo campeggia un cielo grigio, quasi autunnale… o forse primaverile presagio di luce?
Gabriella Niero
da "Avvenire" – 23 gennaio 1999
La natura morta con vasi e frutta, le barche a riva, il nudo disteso acquistano concretezza e cognizione di vita esplorata anche interiormente negli impasti cromatici che esprimono la tensione tra figure e ambiente.
Giulio Gasparotti
da "La Repubblica" – 14 gennaio 1999
Una pittura forte, ricca di sensualità, turgida nell'evidenza materica dell'impasto cromatico.
L'artista udinese cerca di esprimere nell'opera tutto l'urgere delle sue emozioni di fronte alla realtà che le si presenta agli occhi: le barche sulla riva, il nudo disteso, la natura morta di vasi e frutta.
Colpisce il modo di sgranare plasticamente la forma-colore, tanto più quanto si avvicina lo sguardo alla pittura. Sono i succhi del colore che, come negli eccellenti nudi, coinvolgono anche la vegetazione circostante, assimilandola ad un modo di vedere che diventa modo di sentire. Tutto fermenta, vibra, si scioglie in una trasformazione romantica del mondo.
Paolo Rizzi
Di prim'acchito sembra una scogliera. Poi ci si rende conto che si tratta di un nudo femminile. La pittura di Antonella Peresson è così ben strutturata, secca e decisa, che il soggetto in sé finisce per passare in subordine. Questo accade -va detto subito- ai pittori di temperamento. Accade, ad esempio, a Sironi, con cui l'artista udinese ha qualche affinità. Sono i valori in sé che emergono: il quoziente espressivo diventa anche simbolico. Esso parla da solo.
La pittura della Peresson ha quasi la durezza cristallina della roccia. Il corpo della donna ha perduto la sua morbidezza sinuosa: è quasi sezionato da tagli impietosi,.diventa irsuto e primitivo. Anche Picasso (per fare un altro storico esempio) era arrivato a risultati simili durante la fase di approccio al Cubismo, specie in certi abbozzi delle "Demoiselles d'Avignon". La forma viene scomposta in schegge geometrizzanti. Una condizione esistenziale, dal timbro tragico, esce dall'interno della pittura; e le posture delle donne la evidenziano in pieno. Non c'è dolcezza proprio perché il mondo non è dolce: tutto comporta fatica, pena, anche laddove vengono raffigurati "giochi d'acqua". Come non vedere,.persino nelle vele delle barche, il segno di un'immanenza del destino.
Eppure questa, che è l'impressione prima e fondamentale di fronte ai dipinti di Antonella Peresson, ha un brusco sobbalzo nella disamina di altri valori che spuntano a poco a poco.L'occhio si avvicina e, magari scrutando tra il macerato collage trattato con carta e sabbie acriliche, si accorge delle screziature finissime del colore. Tutto pare sciogliersi, farsi trasparente, intrusivo, quasi a rompere l'ardita durezza della materia. Ecco allora un sentimento indefinibile: ansia di comunicare; voglia prepotente (ma anche discreta) di affinare le tonalità psicologiche; momento di struggente nostalgia dello spirito. Questa è, almeno, la mia impressione. Antonella Peresson vuole confessarsi, raccontare anche i sottili, minimi moti del suo animo. Lo fa attraverso quel colore che si frantuma e si sfalda in mille cangiantismi: e che è esso stesso stato emotivo.
Contraddizione? No, l'artista tenta di esprimere nella pittura la dialettica stessa dei contrasti che si fa pressante nella nostra cultura così composita e contaminata. Durezza e tenerezza, forza strutturale e sfinimento cromatico, disgregazione della forma e sua ricomposizione, roccia scabra e carne viva, caos e ordine: tutto tende all'unità di quella che è, appunto, la condizione umana. Sta qui il senso di metafora delle pitture di Antonella Peresson: un'allegoria che prende di solito lo spunto dal corpo femminile per diventare specchio di una pluralità, viva e dolente, delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti, dei nostri profondi bisogni. Ancora una volta l'occhio è invitato ad avvicinarsi alla pittura: quasi ad affondare in essa, ad assorbirne i succhi, a captarne gli umori.
Allora è chiaro che non si tratta di un'arte "graziosa", fatta per sedurre. E' un'arte, semmai, che vuole "parlare” a sé stessa e agli altri. Il suo linguaggio è, appunto, scabro ma anche pacato: duro e pur suasivo.
Forse che questo impulso vitale non si sente, non si vede, non si tocca?
Antonella Peresson ci invita a toglierci di dosso la maschera del conformismo: a denudarci, a guardare dentro noi stessi… Personalmente ne sono turbato. Ma lo scossone che ricevo -al di là della qualità in sé della pittura- mi è salutare. La carne diventa roccia; e la roccia diventa carne.
Mostra “e il naufragar m’è dolce…”
Galleria LAZZARO by CORSI – Milano – giugno 1998
Siamo di fronte ad una Artista che trae dalla natura la linfa vitale della sua pittura. Una offerta cromatica che ci colma il senso visivo, mentre siamo portati razionalmente, al di fuori di ogni emozione, a vedere il contesto in maniera formale quasi a voler contattare materialmente quanto rappresentato sulla tela, con una operazione di trasmutazione. Ma lo spirito ha ragione della materia e rimane in noi un senso di vitalità e di gioiosa voglia di esserci.
Giorgio Pilla
da “ARTECULTURA” n. 6 – giugno 1998
Mostra “e il naufragar m’è dolce…”
Galleria LAZZARO by CORSI – Milano – giugno 1998
Gli ortaggi, i fiori, la vegetazione: l'impatto si fa, in questa pittrice udinese, forte e vibrante. Gli occhi colgono l'intensità del colore: ma la mente riduce la visione ad una plasticità forte. Ne risulta quasi un senso tattile, una capacità da parte dell'artista di uscire dal fenomenico per impostare un discorso sull'essenza delle cose. La pittura diventa turgida, risonante, sempre ricolma di vitalità.
Paolo Rizzi
Mostra “e il naufragar m’è dolce…”
Galleria LAZZARO by CORSI – Milano – giugno 1998
L'artista immette nei suoi quadri un fremito di energia, una brezza che muove le forme sino a renderle immediate, reali, coinvolgenti. La natura si fa testimonianza tangibile dell'incontro con l'uomo in un'atmosfera dal vago sapore espressionista. Fremito interno e dimensione onirica si uniscono.
Gabriella Niero
da "Avvenire" – 23 giugno 1998
Mostra “e il naufragar m’è dolce…”
Galleria LAZZARO by CORSI – Milano – giugno 1998
La peculiarità dell'artista è individuata da una dissonanza che ne costituisce l'elemento di tensione lirica sommato a un linguaggio forte, un colore sontuoso e strutturante.
Enzo De Mattè Coralli
da "Padania" – 16 giugno 1998
Si agita, sotto la sferza del vento, la vegetazione dell'orto: è un moto che la pittrice udinese coglie con immediatezza psicologica. Ecco apparire sul fondo un volto; ed è quasi una metamorfosi che si compie. Abilità esecutiva e acutezza culturale conducono ad esiti di vivace cattivante espressività. La pittura diventa impronta vibrante dell'animo.
Paolo Rizzi
Un temperamento vivace, gioioso, travolto dal gusto brillante del colore nelle nature morte con vasi di frutta; più dilatato e impalpabile nei temi dedicati alle barche sulla riva.