Recensione
Le emersioni della figura da una sorta di quinta teatrale conservano una minima fisionomia, una connotazione appena accennata oppure allusa. Più che paesaggi, i suoi quadri sono tentativi di focalizzare un orizzonte dove le cose di natura sono sospese sul discrimine di una genesi che le porta alla luce, nelle profondità di certi contrappesi tonali in cui si misura la densità effettiva dell'impianto.
Il mondo reale per l'artista è un'occasione di riverbero concettuale, dove si afferma l'idea di uno spazio flessibile, quasi gli elementi fluttuassero in un invisibile magma liquido in trasparenza. Impianti industriali, tralicci, case, nuclei abitativi con l'idea dell'abbandono, vivono sulla tela per forza di un colore che dà l'emozione dell'esistenza al di là della concretezza della visione e si precisano allo sguardo aspirando alla globalità di un lavoro di sintesi più che all'esibizione di dettagli in nitidezza. La realtà per Mehrkens diventa sulla superficie dipinta sostanza di natura vissuta per mezzo di tutti i sensi. E l'impianto figurale, ridotto ad accenni e profili nell'economia dell'opera, si afferma ed emerge da zone consistenti di colore coagulato in masse monocromatiche che convivono senza promiscuità di contatti e combinazioni. Ancora, questo è come un grembo generatore di realtà sospese in una dimensione resa credibile dalla sapienza con cui l'artista dà fisicità al luogo paradossalmente grazie alla consistenza tutta emozionale del suo colore, mosso talora da piccoli tocchi che evidenziano una nervatura tissulare nella pennellata. Lasciando solo intuire una presenza, Merhkens la afferma imperiosamente: così avviene per le periferie metropolitane dislocate su un orizzonte che appare talvolta un crinale al di là del quale quelle realtà possono tramontare in una sorta di precipizio della coscienza. Il gioco sottile tra evanescenza e corporeità determina anche la nettezza piena di una prospettiva che suggerisce un senso di lontananza, così fluttuante tra zone cromatiche di densità materica solo apparente e distese di luce dove la "pelle" del colore sembra tendersi fino alla trasparenza. Il piano alterna passi di spessore maggiore e allora la visione è più nitida oppure più nebulosa, come l'effetto di un evento deflagrante. Invero i suoi quadri sono accadimenti di verità fisica (naturale e umana) che si esibiscono così come li "vede" Mehrkens; per questo la sua arte poggia su un credo dove rappresentazione ed evocazione, contemplazione e provocazione si bilanciano in un preciso equilibrio di contenuti.
Nei ritratti la figura perde la sua connotazione di riconoscibilità fisionomica per assumere quella di accentuazione della corporeità: volti scolpiti con pochi decisi tocchi esaltano la rotondità delle forme in espressioni esotiche, cristallizzate nello sguardo di robusti giovani dalla carnagione scura; il busto accampato nel centro del quadro è anch'esso risolto nella plasticità della forma che lo chiude. La struttura anatomica si evidenzia per un colore capace di sbalzarla in uno spazio di irrealtà, dove la dialettica luce-ombra vive di pennellate secche e di segni marcati nella loro contrapposizione tra colore e colore.
Enzo Santese